banda http://blografando.splinder.com

venerdì 18 aprile 2008

Neo fascisti, estrema Destra e campagna elettorale a Roma - Una riflessione.

(06blog) L’estrema destra è entrata prepotentemente tra i temi dell’agenda di questa campagna elettorale per il nuovo sindaco di Roma. Prima la sdegnata reazione della comunità ebraica per l’avvenuta alleanza tra Alemanno e Storace (leader di quella Destra che la comunità ebraica ha ricordato essere un partito che ha tra i suoi valori proprio il fascismo). Poi, ieri sera, il raid neo- fascista alla sede del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli.

Che lo si voglia o no, dunque, l’avanzare dell’estrema destra sarà fino alla fine uno dei temi dominanti di quest’ultima settimana di campagna elettorale in vista del ballottaggio tra Rutelli ed Alemanno. Ed è un’estrema destra che fa paura, perchè non è la prima volta che scatena la sua violenza in città: ieri i neo fascisti sono entrati al grido di “Viva Mussolini” e “Froci di merda” ed hanno devastato un circolo omosessuale, l’estate scorso era capitato qualcosa di simile con il raid a villa Ada durante un concerto. E poi come non ricordare la folle notte dell’assalto alle Caserme dopo la morte di Gabriele Sandri, fatto che ha portato all’arresto di 20 neo-fascisti, ed il sospetto incendio doloso di un altro simbolo omosessuale di Roma, il locale Coming Out?

Naturalmente queste violenze, come il raid di ieri, vengono condannate da tutte le forze politiche. Rutelli è intervenuto subito esprimendo “solidarietà” e dicendosi pronto “alla fermezza contro il rigurgito fascista”. Gianni Alemanno lo ha seguito solo in tarda serata marchiando il gesto come “intollerabile”. Bisogna stare attenti a non strumentalizzare quanto avviene, il problema, però, non sono le prese di distanza ma il ripetersi periodico di simili raid e lo scarso impegno di certe forze politiche per evitarlo. “Sono raid - ha, non a caso, ricordato il segretario romano di Rifondazione Massimiliano Smeriglio - che dimostrano la pericolosa presenza di frange neofasciste a Roma che con quest’ultimo gesto creano un clima sempre più pesante in città esaltato dall’avvicinarsi della data del ballottaggio che potrebbe consegnare la città di Roma in mano alla destra”.

Partito Democratico: Radicali "incubo" della Binetti.

(Giovanni M. Losavio - Agenzia radicale) Strano destino quello che accomuna la sorte dell'IDV e della pattuglia radicale all'interno del Partito Democratico: pare infatti che le polemiche sugli uni siano irrimediabilmente destinate a estendersi anche agli altri. Già avevamo avuto modo di sottolineare come, contravvenendo all'accordo pre-elettorale con Veltroni, Di Pietro avesse ipotizzato la possibilità di costituire un gruppo separato da quello "Democratico", ipotesi peraltro ribadita anche nella mattinata di oggi quando l'ex magistrato ha dichiarato: "Con il Pd voglio fare qualcosa di più di un gruppo: un percorso, una casa comune. Che senso ha se io sciolgo il mio partito e vado nel Pd? Qual è il mio valore aggiunto? Una cosa è costruire una casa insieme, un'altra cosa è andare ad abitare in una casa altrui", salvo poi correggersi, almeno in parte, precisando che i "giochi" sono ancora aperti.

All'apertura del "fronte Di Pietrista" ha fatto eco la riapertura di quello radicale con una sincronia davvero impressionante: il generale teodemocratico Binetti non si è infatti sottratta al sacrissimo ufficio - Deus Vult, Dio lo vuole - di lanciare all'offensiva le truppe cherubiniche, ultimo baluardo in difesa dell'ortodossia. "Ecco, ci sono tutti e nove. Tutti eletti. E ora si viene a chiedere a noi moderati come mai è stato fallito l"obiettivo-centro?", ha tuonato dallo scranno celeste la "pasionaria" democratica secondo cui l'accordo con i Radicali "era una ciambella di salvataggio. Senza, non sarebbero nemmeno in Parlamento". Conclude l'On. Binetti: "sarebbe stato meglio non accoglierli. Ora, con queste soglie di sbarrammento, con i loro voti e senza il nostro appoggio, dove sarebbero i radicali?".

Un'opinione alquanto diversa da quella espressa, sempre dall'esponente Teodemocratico, appena due settimane fa - era il 4 aprile - quando con un comunicato stampa sul sito del Partito Democratico dichiarò: "Il Partito Democratico, come grande partito popolare, prevede al suo interno posizioni che possono esser culturalmente diverse, ma che sono fortemente impegnate nello sforzo di trovare la migliore sintesi possibile per venire incontro ai nuovi bisogni emergenti dell'Italia. Di questo ha bisogno l'Italia: soluzioni concrete ispirate ad una creatività scevra di pregiudizi".

Considerando le polemiche che hanno scandito l'inclusione dei Radicali nel Pd e le ultime dichiarazioni rese dall'On .Binetti, si potrebbe essere spinti a ipotizzare che costei sia quanto meno confusa riguardo a concetti quali "posizioni culturalmente diverse", "sintesi politiche", "creatività scevra di pregiudizi". Volendo essere maliziosi, sia pure con la consapevolezza di commettere grave peccato, si potrebbe domandare all'esponente Teodemocratico come possa conciliare le sue posizioni personali, peraltro legittime - non è di questo che si discute - con la sua appartenenza a un partito che, almeno in campagna elettorale, si era espresso a favore della disciplina normativa sulle unioni civili e non ha mai dichiarato di voler rivedere la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza.

In secondo luogo l'On. Binetti non dovrebbe perdere di vista l'evidenza che tra quei 13,686 milioni di voti ci sono, non solo i suffragi espressi dai simpatizzanti Teodemocratici, ma anche quelli di quanti si riconoscono nell'area laica, riformista, radicale e "di sinistra" (parte dell'elettorato della SA si è schierato con Veltroni, il famoso voto utile).

Purtuttavia all'on. Binetti si deve riconoscere il merito di avere squarciato il velo di nebbia calato sul PD alla vigilia della consultazione elettorale (ci aveva già provato Pannella ma, apriti cielo, si era scatenato un putiferio): cosa si intende fare del partito? Una formazione neo-confessionale (in tal caso, perché un elettore dovrebbe optare per il PD e non per Casini che, tra l'altro, sull'argomento è pure più esplicito)? L'immagine speculare, al centro sinistra, della PDL? Uno schieramento politico ancora ancorato alle vestigia ideologiche del compromesso storico?

Esigenze di chiarezza impongono precise scelte di campo: trovare il coraggio di prendere all'interno del PD quelle decisioni che nei rapporti con altri partiti hanno portato alla rottura dell'alleanza con Verdi, Rifondazione e Sinistra Democratica.

Il 14 aprile gli italiani chiari lo sono stati, sapranno esserlo altrettanto i dirigenti del nascente Partito Democratico?

L’Italia s’è destra.

(Pornopolitica) Partivano dall’undici per cento. Speravano nell’otto. Si sarebbero accontentati del sette. Il cinque o il sei li avrebbe delusi. Hanno preso il tre. Il risveglio della Sinistra Arcobaleno ha il sapore della sbornia nera. Loro, i compagni di lotta e di governo, si riscoprono tutto ad un tratto i nuovi extraparlamentari d’Italia. Il capo non ha cercato scuse: “Abbiamo perso il senso della realtà. La mia esperienza finisce qui. Il disastro è totale”. Per dirla con Alfonso Gianni, “una catastrofe nucleare”.

I venti di guerra già si sentono ovunque, nei partiti e fuori. Annunci di resa dei conti, richieste di dimissioni generali, congressi straordinari, azzeramento dei gruppi dirigenti. Per i Verdi suonano sempre più forti le sirene del Pd. Grazia Francescato chiede la testa di Alfonso Pecoraro Scanio, al congresso voleranno gli stracci. I Comunisti italiani scalpitano: “La Sinistra Arcobaleno è nata morta”, dice Marco Rizzo. Per fortuna Diliberto ha la sua infallibile ricetta: “Bisogna ricominciare dalla falce e martello”. Fabio Mussi e i suoi sono tentati da un ritorno al loft. La Sinistra Arcobaleno è morta. Quel punto e mezzo che l’avrebbe tenuta in vita lo hanno rosicchiato i trozkisti di Turigliatto e Cannavò che adesso esultano: “Un risultato magnifico”.

Dentro Rifondazione si va alla conta. Franco Giordano voleva dimettersi, Fausto lo ha dissuaso. I ribelli sono capitanati da Paolo Ferrero, il valdese ex di Democrazia proletaria, contrario al progetto bertinottiano di lanciare subito una costituente affinché nasca una nuova sinistra unitaria. “Dobbiamo ripartire da Rifondazione”, dice l’ex ministro della Solidarietà sociale che mostra fedeltà al comunismo, tanto per “non perdere pezzi storia e di cultura politica”. In realtà all’orizzonte c’è molto di più di un simbolo: il rapporto con il Pd, al momento accusato di “aver consegnato il Paese a Berlusconi”, come pure Bertinotti dice, e che però in prospettiva si vorrebbe ricostruire. Mentre i duri e puri della Falce & Martello pensano che la sinistra debba essere “anticapitalista, antiliberista, e alternativa al Pd”.

“Il manifesto” sfotte i giovani bertinottiani al potere, definendoli “berti-boys allo sbaraglio”. Nel week-end incombe il comitato politico del Prc, Ferrero e Russo Spena vorrebbero trasformarlo in un processo alla linea del sub-comandante Fausto. E così ieri è arrivata la svolta di Giordano che dice di non voler più sciogliere il partito e si presenterà al parlamentino rifondarolo da dimissionario. Addio al progetto bertinottiano di unità della sinistra. Insomma, siamo “al si salvi chi può”: Gennaro Migliore è già passato armi e bagagli con le pattuglie di Ferrero. Bertinotti è insalvabile. La sua ultima carta per mantenere il timone del partito poteva essere Vendola, ma ormai anche Nichi lo ha scaricato facendo sapere che (per ora) si tira fuori dalla sfida per la leadership del partito.

E adesso tutti giù a chiedere l’autocritica, adorabile retaggio marxista. Per ora gli unici reponsabili sono quelli identificati da un titolo di “Liberazione”: “I parenti-serpenti del Pd”. Piero Sansonetti scrive un editoriale dal titolo “Caro Walter, hai fatto un disastro”. E’ già un passo avanti: due giorni se l’era presa direttamente con gli italiani, rei di aver bocciato la sua sinistra, “sentinella che si oppone agli scivolamenti reazionari, alla ferocia del mercato, alla religione della competitività”. I pochi barlumi di ragione li offre, al solito, Nichi Vendola: “Siamo stati fino in fondo percepiti come una icona dell’inefficacia dell’agire politico. E l’inefficacia è stata in qualche maniera drammatizzata da ciò che apparso come un’improvvisazione elettoralistica, cioè un cartello elettorale”.

Il visionario Nichi è geniale e spietato: “Noi abbiamo chiesto di votare al massimo un’allusione. Il nostro agire politico sembra un esodo dai luoghi della moderna concentrazione di umanità. E così siamo stati percepiti davvero come un residuo, come un cimelio. Se le cose stanno così, domando io, facciamo la discussione sul fatto che la colpa è del ministro Paolo Ferrero? O la facciamo sul fatto che la colpa è di Giordano? Almeno questo residuo di stalinismo penso che ce lo possiamo risparmiare. Ci conviene invece fare un funerale. Portiamo a seppellimento il cadavere di qualunque nostro dogmatismo, settarismo, spocchia e superbia intellettuale. C’è un lavoro che va ricominciato. Con immensa modestia”.

Politica e rimborsi ai partiti: cifre da capogiro.

Finito lo spoglio delle schede i partiti sono al lavoro per quantificare quanto dovranno ricevere a titolo di rimborso per le spese elettorali. La torta da spartire ammonta a 407 milioni di euro a cui accederanno le formazioni che hanno superato l'1% dei consensi. La parte del leone la fanno il Pdl a cui andranno 160 milioni e il Pd a quota 140 milioni. A disperarsi i socialisti di Boselli che mancano il quorum per soli 8mila voti.

Una bella cifra, pari a quanto ogni anno lo Stato destina per esempio alla cooperazione internazionale. Dei ben 21 i micropartiti che hanno mancato la soglia dell'1%, i loro voti sono stati inutili a fine dei rimborsi (oltre 1,6 milioni alla Camera e 1,2 al Senato), a tutto vantaggio dei partiti che hanno scavalcato l' asticella. Davvero sfortunati i Socialisti di Boselli che, se avessero raggiunto il quorum dell'1%, avrebbero incassato 2.128.319 euro. Discorso esattamente opposto per l'Mpa di Raffaele Lombardo: per lui l'1,12% alla Camera e l'1,08% al Senato. Qualche migliaio di voto in meno e non avrebbe ricevuto i 4.670.297,23 di euro che gli spetteranno pe i cinque anni. Le urne hanno premiato il Pdl di Berlusconi con conseguente gioia anche dei tesorieri di tutti i vari partiti che hanno dato vita alla nuova sigla, Forza Italia e An in testa, fino a quelli più piccoli, come Rotondi, Mussolini o i pensionati di Fatuzzo. Spetterà a loro accordarsi sulla ripartizione, ma intanto lo Stato staccherà cinque assegni annuali per complessivi 160.446.990,4 euro. Nel 2006, però, Fi e An ottennero più voti e anche più soldi: in tutto 174,2 milioni. Il Pd alla sua prima prova elettorale porta in cassa ben 141.988.246,6 per la gioia del tesoriere Mauro Agostini, che finora aveva dovuto bussare alla porta dei due tesorieri di Ds e Dl, Ugo Sposetti e Luigi Lusi, che stanno ancora amministrando i rimborsi della precedente legislatura (li avranno fino al 2011). Molto bene la Lega, che avrà 35.329.331, un boom rispetto ai 21,5 milioni della precedente legislatura: e questo grazie al raddoppio dei consensi. Piange invece la Sinistra Arcobaleno anche sotto questo aspetto: per lei 13.356.565,12. Nulla in confronto al 2006 quando Prc, Pdci e Verdi ebbero in tutto 51.561.413. L'Udc di Casini avrà 24.018.774 di euro, meno dei 32 milioni della precedente tornata. Ha migliorato invece Antonio Di Pietro che percepirà 18.427.608 euro, contro i 12 di due anni fa. Quanto a Francesco Storace e Daniela Santanché, pur fuori dal Parlamento, percepiranno 9.629.998 di euro, grazie al 2,4% ottenuto alla Camera e al 2% del Senato. Non ho parole...

L'Avanti all'attacco. In morte dello “stunt-man” di Boselli.

Speriamo che questa storia dei falsi partitini socialisti ora si chiuda definitivamente.
(Venerio Cattani - L'Avanti) In questi giorni, molti piangono, o fingono di piangere, per la morte elettorale della Sinistra Arcobaleno e del cosiddetto Partito socialista. Della morte della Sinistra Arcobaleno non me ne frega - chiedo scusa - niente. Quando sento il leader storico di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, raccontare seriosamente che “l’Italia ha bisogno della sinistra”, mi viene da chiedere: “Già, e perché mai?”. A me pare che l’Italia viva benissimo senza la sinistra in genere e senza la sinistra alternativa in particolare. Naturalmente, sono più interessato alla scomparsa del Partito socialista di Enrico Boselli; e tuttavia trovo che non sia un gran problema neanche questo, tranne che per i diretti interessati. Era solo un inevitabile chiarimento. Ma ciò che interessa chiarire, è che la morte del cosiddetto Partito socialista di Boselli non è certo la morte del vecchio e glorioso Partito socialista italiano. È semplicemente caduto dall’impalcatura lo “stunt-man” di Boselli, non il socialismo: è come nei film americani. Il Psi, quello vero, è morto, non di morte naturale ma di veleno, nel 1992, esattamente cento anni dopo la sua nascita. Tra l’altro, la fine del Psi fu non certo causata, ma certo stabilita giuridicamente (con tanto di firma e bollo) proprio da Enrico Boselli e Ottaviano Del Turco, nel 1993. Meno male che lo stesso Boselli si è ora dimesso, sennò ricominciava la storia e avrebbe fatto morire il Psi la terza volta. Quello che è deceduto, per mano di Walter Veltroni e del Porcellum (la legge elettorale attuale) il 13 aprile, non era che un rimasuglio dello Sdi, oltretutto reduce dall’ultima disavventura con la Rosa nel pugno di Marco Pannella alle elezioni politiche del 2006. Il decesso del Partito socialista era scritto e pronosticato fin dal momento in cui il segretario e candidato premier del Partito democratico ha detto di no all’apparentamento. Solo un miracolo, per il quale ci sarebbe voluto non Boselli ma Padre Pio, avrebbe potuto far lievitare i voti dall’uno al quattro per cento necessario per superare lo sbarramento. Ma quel che più irrita, è come il Partito socialista è morto: con una lista da Arcigay, con i manifesti “incazzati” (ma non si è ancora capito con chi?) e con l’immagine del culo della nota pornostar Milly D’Abbraccio. Speriamo ora che questa storia dei falsi partitini socialisti si chiuda definitivamente. Ognuno dia - se lo vuole e se ancora lo può - il suo contributo individuale: sul piano storico e culturale, e sul piano politico aiutando l’Italia a riprendersi, a ripulire le strade, a riaprire gli aeroporti, e insomma a lavorare per sopravvivere alla globalizzazione, che è il vero tema della politica di oggi. Il socialismo rimane come sentimento e come testimonianza, forse come lievito; ma la direzione politica tocca a quelli che sono arrivati dopo e soprattutto, a quelli che arriveranno.