(Francesco Bonazzi e Marco Damilano - L'Espresso) Non c'è primaria o gazebo della libertà che tenga. Con le famigerate liste bloccate del 'Porcellum', ancora una volta avranno l'elezione sicura quelli che non potrebbero mettere facilmente la propria faccia sui manifesti. Un pattuglione di assenteisti, trasformisti, dinosauri, pregiudicati, indagati o, più semplicemente, sputtanati. Ecco il catalogo dei nomi pronti a infilarsi alle spalle dei leader.
BOCCIATI
"Il dado è tratto: Rivoluzione Italiana confluisce nel Popolo delle libertà". Con queste parole, il 9 febbraio, il senatore Paolo Guzzanti ha annunciato ai seguaci del suo blog (Rivoluzione Italiana, 'http://www.paologuzzanti.it/') il fidanzamento con il movimento dell'altra rosso-crinuta Michela Brambilla. Un aggancio che imbarazza la super-nuovista Brambilla, preoccupata dall'effetto muffa dell'ex presidente della Commissione Mitrokhin, simbolo di una stagione tutta bufale e complotti-spazzatura.
La spazzatura vera, invece, è quella che ha distrutto la credibilità di Antonio Bassolino e Alfonso Pecoraro Scanio. Le immagini della maxi-pattumiera napoletana hanno fatto il giro del mondo, ma nessuno dei due politici campani è stato sfiorato dall'idea delle dimissioni. Così, tanto il presidente della Regione quanto l'ex ministro dell'Ambiente sono pronti a regalarsi un nuovo giro in Parlamento.
Stessa scelta per un altro eletto che ha fatto parlare di sé in tutto il globo, il mastelliano Tommaso Barbato. Il filmato della sua tentata aggressione al compagno di partito Nuccio Cusumano, 'colpevole' di non revocare la fiducia a Prodi, spopola ancora su Internet e il suo presunto sputo è un giallo insoluto. Il fotogramma in cui senatori e questori tentano di placcare Barbato è diventato l'ultima pubblicità di Ryanair, sotto lo slogan 'Calma! Calma! C'è posto per tutti'. Barbato compreso. Un comodo seggio senatoriale aspetta anche il sindaco azzurro di Catania Umberto Scapagnini.
L'ex medico di Berlusconi è ansioso di abbandonare la città prima che venga certificato lo stato d'insolvenza del Comune. Mentre il più fido scudiero di Massimo D'Alema, Nicola Latorre, non vede motivi per abbandonare il Palazzo, nonostante le sue telefonate pro-Unipol abbiano sconcertato migliaia di elettori del centrosinistra durante la folle estate delle scalate bancarie.
GIURASSICI
José Luis Rodríguez Zapatero non aveva compiuto tre anni, Barack Obama era nato da appena 20 mesi quando Luigi Ciriaco De Mita entrò per la prima volta alla Camera. Salvo una breve interruzione tra il 1994 e il 1996, non ha più trovato l'uscita. Classe 1928, la stessa di Ernesto Che Guevara, da 45 anni trascina giornalisti e colleghi deputati sottobraccio per il Transatlantico, manco fosse la Selva Lacandona.
Ma guai a fargli notare l'età: "Ieri, per la prima volta, mi sono sentito vecchio", ha confessato al compimento degli ottant'anni. E ora è in corsa per la dodicesima ricandidatura, questa volta nel Pd. Il segretario campano Tino Iannuzzi ha già annunciato di voler chiedere la deroga per il suo maestro politico. Lo stesso vuole fare il segretario provinciale di Avellino: Giuseppe De Mita, il nipote. Sembra un'anomalia, ma non lo è. Spera di rientrare, ancora una volta, il senatore Francesco D'Onofrio, capogruppo dell'Udc.
Una ex giovane promessa: a lanciarlo fu proprio De Mita, un quarto di secolo fa. C'è il neo-Udc Angelo Sanza (ex demitiano, ex cossighiano, ex buttiglioniano, ex berlusconiano), deputato dal 1972, lo stesso anno che vide l'esordio in Parlamento di Giuseppe Pisanu. C'è il forzista Alfredo Biondi, eletto la prima volta nel 1968.
C'è il socialista Valdo Spini, simpaticamente parlamentare da quasi trent'anni, come il verde ex Lotta Continua Marco Boato (salvo un'interruzione negli anni Ottanta) che tenta il ripescaggio nella Cosa rossa. Lì, nell'area della sinistra radicale, si gioca il futuro di un'autentica istituzione come Armando Cossutta e di un veterano delle aule come Cesare Salvi. In fondo, il candidato premier Fausto Bertinotti, imbalsamato nella carica di leader dal 1994, è ormai anche lui un monumento vivente. A se stesso.
LAVATIVI
Giuliano Amato ha già annunciato che non si ricandiderà, a Montecitorio non avvertiranno la differenza: nell'ultima legislatura non l'hanno praticamente mai visto. In 20 mesi e su 4.693 votazioni ha pigiato il pulsante solo 21 volte, lo 0,45 per cento del totale. Certo, da ministro dell'Interno aveva altro da fare e si è fatto mettere in missione nel 97 per cento dei casi.
Ma che dire di altri illustri assenti? Senza giustificazioni, per esempio, risulta il presidente della commissione Attività produttive Daniele Capezzone: infaticabile quando c'è da dichiarare al tg, un forzato dei talk-show televisivi, e dove trova il tempo di partecipare al lavoro legislativo? E infatti si è affacciato in aula per 119 volte, il 2,54 per cento delle votazioni, risultando assente senza scusanti nel 67 per cento dei casi.
Peggio di lui hanno fatto solo i ministri Antonio Di Pietro, Pierluigi Bersani e Alfonso Pecoraro Scanio, che però figurano quasi sempre in missione. A differenza dell'ex segretario Ds Piero Fassino, assente nell'89 per cento dei casi, presente in dieci votazioni su cento, stessa misera performance del collega di Rifondazione Franco Giordano. Deve essere il duro tran tran del capopartito.
Tre big di Forza Italia, Sandro Bondi, Fabrizio Cicchitto e Denis Verdini, non si sono quasi mai fatti vedere a Montecitorio. Bondi ha saltato l'87 per cento delle sedute, Cicchitto l'89. Il toscano Verdini, estenuato da 291 votazioni su 4.693 (il 6 per cento), ha trovato miracolosamente il tempo di mettere la firma su tre proposte di legge e su un'interrogazione: stipendio ben guadagnato. Ma è in ottima compagnia: il deputato Berlusconi Silvio ha mancato il 98,51 per cento delle votazioni. E nessuno lo rimprovererà per questo.
VOLTAGABBANA
"Si sentiva bene il discorso? Avevo la voce ben impostata?", ha chiesto appena finito di parlare. Si cambia schieramento per molte ragioni: per opportunismo, per convenienza, per calcolo. Il senatore-professore Domenico Fisichella l'ha fatto per ben due volte (da destra a sinistra e da sinistra a destra) per un ben più nobile motivo: la vanità.
Quando lasciò An per traslocare nella Margherita era inviperito per la mancata presidenza del Senato che, secondo lui, gli spettava come una laurea, honoris causa. Quando il 24 gennaio ha pugnalato il governo Prodi, provocando la fine della legislatura, ha tenuto a precisare, la voce ben impostata, ci mancherebbe, che lui non era "uno qualunque". Basta sfogliare la sua monumentale produzione bibliografica, 18 volumi, da 'Elogio della monarchia' a 'Le ragioni del torto', tradotti in inglese, francese, spagnolo, ungherese e rumeno.
Ora giura di voler tornare a studiare, ma è disponibile a candidarsi nel Pdl, "se il mio contributo è considerato utile". Lo stesso vale per Lamberto Dini: ma lui, più che utile, si ritiene indispensabile. Pronto a candidarsi con Berlusconi, dopo averlo mollato nel 1995 per fondare un partitino di transfughi dal berlusconismo, tra accuse di tradimento e insulti.
Lo stesso percorso di Clemente Mastella (in comune i due hanno anche una moglie in guai giudiziari): "Resterò nella posizione in cui mi troverò, lealmente, come sempre", garantisce l'ex guardasigilli. I suoi compagni di partito, conoscendone la lealtà, si sono affrettati a cercare posizioni in proprio.
Uno che una candidatura l'ha spuntata è l'ex ministro della Lega Giancarlo Pagliarini: nel '96 fu candidato premier di Umberto Bossi e predicava il secessionismo della Padania, oggi si ritrova con la destra tricolore di Francesco Storace, un bel salto tra gli arditi. Più modesto appare il valzer di Marco Follini, passato in 20 mesi dai pranzi di palazzo Grazioli alle merende nel loft del Pd: l'importante, per lui, è non imbattersi in Casini.
IN FUGA DALLA GIUSTIZIA
Eletto con l'Italia dei valori, passato all'opposizione con il movimento fai-da-te Italiani nel mondo e ora pronto all'ingresso nelle liste del Pdl, il senatore campano Sergio De Gregorio non è soltanto un politico che si muove veloce. È anche un uomo bisognoso di trovare un riparo sicuro da un'inchiesta della Procura antimafia di Napoli che lo vede indagato per riciclaggio e favoreggiamento della camorra.
Non vede l'ora di sbarcare in Senato anche l'udiccino Salvatore Cuffaro, che da presidente della Regione Sicilia si è appena beccato una condanna in primo grado a cinque anni di reclusione. Anche in Calabria andrà in scena il film 'Governatori in fuga', con Agazio Loiero che preferirebbe attendere il suo processo per gli appalti della sanità da uno scranno di Montecitorio. Bisognoso d'immunità varie anche il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa.
Già salvato dalla prescrizione ai tempi di Tangentopoli, quando ammise di aver preso soldi per appalti truccati, ora è indagato a Catanzaro per truffa all'Unione europea e associazione a delinquere. Non mollerà facilmente Palazzo Madama neppure il forzista Luigi Grillo, rinviato a giudizio per aggiotaggio nella vicenda delle scalate Rcs e Bnl. Seggio blindato anche per l'ex governatore pugliese Raffaele Fitto, che sotto Natale è diventato imputato per corruzione e finanziamento illecito.
Un altro ex presidente eccellente, Francesco Storace, dovrà difendersi nel processo Laziogate dall'accusa di 'cospirazione informatica' ai danni della rivale Alessandra Mussolini. L'ex comandante della Finanza, Roberto Speciale, attenderà in Parlamento sotto le bandiere del Pdl l'inchiesta della magistratura per l'uso 'privato' di aerei ed elicotteri delle Fiamme gialle.
Al fianco di Speciale troverà riparo anche la first lady di Ceppaloni Sandra Lonardo Mastella, indagata per tentata concussione. Mentre sotto i colori della Sinistra arcobaleno troveranno usbergo anche i 'disobbedienti' Francesco Caruso e Luca Casarini, per i quali la Procura di Genova ha appena chiesto sei anni al processo per il G8. Caruso ha già sulle spalle una condanna in primo grado a 40 mesi per la violenta 'spesa proletaria' all'Ipercoop di Afragola.
DEFINITIVI
Neppure nella prossima legislatura si assottiglierà il plotone dei condannati in via definitiva. Anzi, sono previsti grandi ritorni. Il leader morale di questi forzati del Parlamento è l'azzurro Marcello Dell'Utri, che ha una condanna passata in giudicato a due anni per frode fiscale e false fatture, mentre ha impugnato in appello una sentenza a nove anni per mafia. Intoccabile anche un altro eroe della prima Fininvest come Massimo Berruti, otto mesi definitivi per favoreggiamento nel processo per le tangenti alla Guardia di finanza.
Riavranno il loro bravo posto in lista anche il democratico Enzo Carra (un anno e quattro mesi per false dichiarazioni al pm nel processo Enimont), l'azzurro Alfredo Vito (due anni patteggiati per corruzione), il berlusconiano Giorgio La Malfa (sei mesi per finanziamento illecito nella vicenda Enimont), il diessino Vincenzo Visco (abuso edilizio) l'azzurro Antonio Del Pennino (due mesi per Enimont, un anno e otto mesi per la metropolitana di Milano), l'eterno dc Paolo Cirino Pomicino (un anno e otto mesi per Enimont e e due mesi per i fondi neri Eni), i forzisti Gianpiero Cantoni (due anni per corruzione e bancarotta), Egidio Sterpa (sei mesi per Enimont) e Antonio Tomassini (tre anni per falso).
Continueranno a scontare con le noie parlamentari una gioventù troppo vivace il radicale Sergio D'Elia (25 anni per banda armata e concorso in omicidio) e i finiani Domenico Nania (condanna per lesioni volontarie) e Marcello De Angelis (cinque anni per banda armata). Mentre si preparano a tornare nel Palazzo, dopo essere stati fermi qualche giro, anche Umberto Bossi (otto mesi per Enimont), l'udiccino Vito Bonsignore (due anni per tentata corruzione) e il socialista Gianni De Michelis (due anni per corruzione e tangente Enimont). Tra sputatori ed ex picchiatori, non sfigureranno neppure loro.
domenica 17 febbraio 2008
Inchiesta de "L'Espresso". Gli impresentabili che nessuno vuole.
La Sinistra “censurata” dai media.
(Insieme a sinistra) La Sinistra l`Arcobaleno ha denunciato, in una lettera inviata ai direttori delle maggiori televisioni nazionali, la censura di fatto che in tv viene fatta alla nuova formazione politica che riunisce le forze della sinistra (Rifondazione, sd, Pdci e Verdi), e che negli spazi di informazione e di intrattenimento, si fa notare in un comunicato, “viene spesso sbrigativamente definita ’sinistra radicale’, ’sinistra massimalista’, e via elencando, evitando in questo modo di pubblicizzare presso i telespettatori la denominazione corretta di ‘La sinistra l`Arcobaleno’, che è quella che gli elettori troveranno sulla scheda elettorale”. Inoltre nella lettera si denuncia come in questi giorni i tg e i programmi televisivi stiano dando una immagine falsata della prossima competizione elettorale, limitando l`informazione ai due partiti principali e ai loro leader: com`è noto, invece, i candidati in campo sono per ora almeno tre, ed è probabile che diventino quattro nelle prossime ore.
Il capogruppo di Sinistra Democratica Cesare Salvi lancia l’allarme informazione.
“Sta passando quest’idea che i voti utili siano solo due: Veltroni o Berlusconi”. In questo senso e’ stata avviata anche “una campagna mediatica. Vanno solo loro due in televisione”.
D’altra parte, attacca salvi, esiste un problema di lottizzazione evidente: “Rai 1 e Rai 3 sono in mano al Pd. Basti pensare a ‘Ballaro’: hanno invitato Bertinotti, gli hanno messo li’ un sondaggio fasullo al 7%, queste sono tutte cose fatte a tavolino…”. Allora Rai 1 e Rai 3 al Pd, “la destra- aggiunge poi salvi- controlla invece Rai 2. Mediaset sappiamo tutti chi la controlla”.
Poi c’e’ la questione carta stampata: “I giornali appartengono ai grandi gruppi finanziari e puntano solo su questi due cavalli. D’altra parte- aggiunge l’esponente di sd- i programmi sono molto simili. Il polso della situazione l’abbiamo con le dichiarazioni di Montezemolo: un giorno dice bravo a Berlusconi, il giorno dopo dice bravo a Veltroni”. Tutto cio’, “comporta una deformazione fortissima nel diritto all’informazione. Basti pensare che la tv continua a dire la ‘cosiddetta Cosa rossa’ o la ’sinistra radicale’”. Evidentemente, conclude salvi, “c’e’ una campagna tra le tv lottizzate da Berlusconi e Veltroni e i giornali controllati dai grandi gruppi economici: e’ un problema serio”.
Bertinotti, per non cancellare una storia.
[Erezioni politiche] Anche il Fausto è sceso in campo. Lo ha fatto con il suo stile elegante, un pò invecchiato dal ruolo istituzionale che ha ricoperto in questi anni, ma sempre articolaro e arrotato, come la sua erre.
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Per la prima volta è candidato premier di una coalizione colorata, la sinistra arcobaleno, che comprende i rossi, i verdi, i biancorossi e i rossobianchi.
Per annunciare la sua scelta si presenta nel posto sbagliato, un bar di Roma che in pochi minuti si riempie, fino a non permettere neppure ad alcuni leader, come Pecoraro Scanio o Diliberto, di assistere alla prima del loro candidato premier.
Dimostrare al Pd che loro sono indispensabili, non far scomparire la sinistra, combattere l’americanizzazione della politica, questi i punti chiari del breve discorso di Bertinotti.
Ovviamente il suo target elettorale sono i giovani, i precari, gli operai, le classi povere, i pensionati, chi è in difficoltà e, perchè no, anche gli immigrati (che però non votano), gli omosessuali, gli ecologisti, i nostalgici del comunismo e i transfughi della mozione Mussi. Un mondo variopinto che, almeno in questa prima performace, sembra sempre meno convincente e comunicativo di Superwalter.
Non è tanto questione di anagrafica, o almeno non è soltanto quella. La verità è che Bertinotti e la sinistra hanno troppo sbandato in questi anni, confondendosi loro stessi le idee.
Quindici anni a costruire e distruggere un dialogo con il centro, per sconfiggere Berlusconi, ma poi, una volta raggiunto l’obiettivo, tentare nuovamente di affossarlo, scontrandosi, scendendo in piazza, lacerando importanti sindacati nazionali.
Nè ha fatto bene a Bertinotti l’aver ricoperto un importante ruolo istituzionale, che ha tolto alla sinistra un grande leader, e a Bertinotti stesso ha lo ha delegittimato, dimostrando che in politica tutto ha un prezzo, caro, ma quantificabile.
La sinistra così, rischia di essere cancellata, ma non dal porcellum e nemmeno dalla scelta moderata del Partito Democratico. Rischia di scomparire per colpa della sua classe politica, bravissima a fare un’opposizione incredibile, ma incapace di governare in maniera dignitosa.
Ritorno al «Porcellum», una legge fatta in tre.
Camera, senato e italiani all'estero. A ciascuno il suo modello. Tra liste bloccate e candidature plurime, i cittadini non possono scelgliere chi li rappresenta ma solo il simbolo. E così il parlamento è nominato direttamente dai partiti
(Matteo Bartocci - Il Manifesto) Alla fine si voterà con il tanto vituperato «Porcellum», ovvero la legge elettorale varata a maggioranza dal centrodestra alla fine del 2005. Una legge molto discutibile, soprattutto se consideriamo che l'Italia è l'unica democrazia occidentale in cui il primo partito (Fi) ha avuto solo il 23,7% dei voti (camera 2006) e l'unica in cui i due partiti principali (Fi e Ulivo) sfiorano insieme appena il 40% (senato 2006). Quando si parla di partiti «nanetti» è bene fare le proporzioni su questi «pseudo-giganti». Per i cittadini, il «porcellum» è la peggiore legge elettorale possibile. Per i partiti, invece, è una manna dal cielo.
Tecnicamente il «porcellum» è una legge proporzionale con il premio di maggioranza, garantisce cioè una governabilità certa almeno alla camera. E' bene ricordare che l'Italia è l'unico paese al mondo a usare il sistema del premio a livello nazionale.
Questa legge elettorale è una somma di tre sistemi di elezione molto diversi tra loro: uno per la camera dei deputati, un altro per il senato della Repubblica e un altro ancora per gli italiani all'estero. Ogni partito, entro il 9 marzo, dovrà depositare il proprio simbolo e programma elettorale dichiarando al ministero dell'Interno il proprio «capo della coalizione» (nomen omen) e l'eventuale alleanza (collegamento) ad altri partiti. Sulla scheda elettorale i simboli di partito coalizzati tra loro sono messi su un'unica riga. L'elettore fa una sola croce sul simbolo prescelto. I voti alla coalizione sono la pura somma dei partiti che ne fanno parte.
La camera dei deputati. Il sistema garantisce alla prima coalizione di partiti a livello nazionale (con l'esclusione della Val d'Aosta e degli italiani all'estero) almeno 340 deputati, cioè il 54% dei seggi (premio di maggioranza del 4%). Tutti gli altri si dividono proporzionalmente i 277 deputati restanti. Va da sè che se il vincente supera il 54% dei voti mantiene i seggi in più. Dei 13 seggi rimanenti uno va alla Val d'Aosta e 12 agli italiani all'estero, che votano con regole proprie. Paradossalmente è una legge più maggioritaria del «Mattarellum»: chi vince anche per un solo voto prende il 54% dei seggi. Nel 2006 l'Unione ha vinto per 24mila voti.
Le soglie di sbarramento. A Montecitorio sono tre gli ostacoli da superare. 1) le coalizioni (es: la Cdl) devono superare il 10% dei voti; 2) le liste singole (es. Pd o Sinistra) devono superare il 4% dei voti; 3) i partiti collegati in coalizione (es: la Lega) devono superare il 2% dei voti. In quest'ultimo caso la legge prevede perfino il ripescaggio del miglior partito sotto il 2% (es: l'Udeur). I seggi in premio vengono distribuiti proporzionalmente nella coalizione vincente.
Il senato della Repubblica. Il sistema è simile a quello della camera ma con un'eccezione decisiva. In ossequio alla Costituzione, il premio di maggioranza (a palazzo Madama del 5% e non del 4%) non è attribuito a livello nazionale ma a chi arriva primo nelle singole regioni. Meglio, in 17 di esse, perché c'è un sistema a parte in Molise, Trentino-Alto Adige e Val d'Aosta. Si tratta in sostanza di una sorta di «lotteria elettorale» basata su 17 premi regionali diversi.
Le soglie di sbarramento. Al senato sono molto più alte: il 20% per le coalizioni; l'8% per i singoli partiti; il 3% per i partiti coalizzati. Ecco spiegato perché almeno al senato la Sinistra arcobaleno non potrà mai presentarsi con i quattro simboli di partito: come coalizione dovrebbe raccogliere il voto di un italiano su cinque.
Gli italiani all'estero. Nel 2006 erano 2.700mila. Devono decidere se votare per corrispondenza o nell'ultimo comune italiano di residenza per eleggere 6 senatori e 12 deputati in quattro zone (Europa, Nord America, Sud America, resto del mondo). I seggi sono distribuiti con un proporzionale puro (quoziente naturale e più alti resti). A differenza che in Italia sono ammesse le preferenze.
Ci sono poi alcune previsioni generali non proprio brillanti.
Le «liste bloccate». I cittadini non scelgono chi li rappresenta ma votano solo il partito che preferiscono. Gli eletti perciò sono predeterminati dall'alto secondo l'ordine di presentazione nelle liste. Il risultato è che i candidati non fanno campagna elettorale nel territorio durante il voto ma prima del voto solo dentro i rispettivi partiti. Le loro capacità di mobilitazione sono irrilevanti: chi finisce in fondo alla lista è come se non esistesse, e chi è in cima anche se non è apprezzato sarà comunque eletto.
La nomina degli scrutatori. Una novità molto sottovalutata del «porcellum» è l'abolizione del sorteggio degli scrutatori. Dal 2006 essi sono nominati direttamente dai sindaci. E a proposito dei vecchi sospetti su brogli elettorali non è una scelta incoraggiante.
Le «candidature plurime». Ad aggravare il quadro, la legge consente a chiunque di candidarsi dappertutto (o alla camera o al senato). Come si ricorderà, Berlusconi o Bertinotti, per fare due esempi, nel 2006 si sono candidati in tutte le circoscrizioni della camera. Va da sé che sono stati eletti dappertutto e, come plurieletti, hanno potuto decidere dopo il voto chi fossero gli eletti al loro posto. Alla camera il 40% dei deputati deve la sua poltrona solo all'opzione finale dei vari leader: 38 deputati ne hanno incoronati quasi 250. Numeri che non cambiano a palazzo Madama: 22 plurieletti hanno scelto più di 50 senatori. Non c'è differenza tra ex Unione ed ex Cdl: entrambi i poli hanno usato questo sistema per oltre 150 parlamentari ciascuno. Con questi numeri, non è esagerato dire come fa Roberto D'Alimonte in un suo saggio recente sulle elezioni 2006 («Proporzionale ma non solo», Il mulino 2007): «Siamo diventati l'unico paese occidentale con un parlamento direttamente nominato dai partiti, prima delle elezioni grazie al meccanismo delle liste bloccate e dopo le elezioni dalle scelte dei leader grazie alle candidature plurime».
Veltroni presenta i suoi dodici punti. Le solite e stantie promesse all'elettorato gay e nessun accenno alla laicità dello stato.
Voce ai bloggers:
Già, perché mai un gay dovrebbe votare per il PD?
[Vecchi froci]
L’ambiente, le tasse, la spesa pubblica, la legalità (quella di Di Pietro o quella dello stato di diritto?), tante belle cose molto “economiciste”. Noi, nei 12 punti del PD non ci siamo. E infatti una quindicina di gay del PD, da Scalfarotto a Benedino, scrivono un pezzo sull’Unità che difende il loro lavoro nelle commissioni, chiede visibilità per i contenuti e spazio per senatori e deputati dichiaratamente omosessuali. Cioè testimoniano il loro impegno e ammettono la difficoltà della situazione attuale. Cercando di rispondere in positivo alla domanda “Perché un gay dovrebbe votare per il PD?”.Da Ivan si accende un dibattito.
Riassumerei così la questione: un gruppo di gente seria e onesta ci chiede di sostenerli in una battaglia disperata, senza riuscire a rispondere alla domanda che essi stessi ci pongono. Il voto cioè dovrebbe essere per loro, non per ciò che sono riusciti ad imporre. Ma, Ivan, non avevi tu stesso fatto ragionamenti interessanti sulla lobby gay estranea ai partiti ma capace di far pressione su tutti?
Per me, al momento, la risposta alla domanda resta: “per nessuna ragione”. Ci fosse la preferenza sulla scheda, l’idea sarebbe perfino considerabile, ma allo stato attuale si tratta di votare il pacco che comprende la Binetti, in migliore posizione, e poi voi. Non ho alternative pronte in tasca, ma scusate, perché, a meno di una sconfitta devastante, dovrebbero darvi domani lo spazio che vi negano oggi?
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Laicità: Veltroni non ne parla.
[Uaar]
Nel suo discorso all’assemblea costituente del PD, Walter Veltroni ha illustrato i dodici punti del suo programma (riassunto su Repubblica.it). Nessun accenno ai temi laici, salvo un breve accenno alla legge 194: “E se parliamo di dignità femminile, di libertà e responsabilità delle donne italiane, fatemi dire ancora una volta con estrema chiarezza: la legge 194 è una buona legge, è una legge contro il dramma dell’aborto, tanto che ha sottratto le donne dall’incubo della clandestinità e in trent’anni ha quasi dimezzato il numero degli aborti. Discutiamo di come applicarla integralmente, di come valorizzarne gli aspetti di prevenzione. Ma è una legge che va difesa ed è un tema che va tenuto fuori dalla campagna elettorale”.
Assolutamente ambigua, a mio giudizio, l’idea di fare del Mediterraneo “un hub per il dialogo religioso”.
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Veltroni il Pinocchietto rinuncia a fare il capolista: ma non c'è il voto di lista?
[Temis]
Lo abbiamo sempre criticato come sindaco di Roma per l'inefficenza e la demagogia della sua amministrazione. Ma da segretario del PD ci era piaciuto. E tanto. Speriamo di non doverci ricredere. Non abbiamo per nulla apprezzato l'enfasi con la quale Veltroni ha annunciato che riuncia a candidarsi come capolista per lasciare il posto a un operaio della Thyssen e ad alcuni giovani. Il suo vuol essere, forse, un gesto simbolico, ma a noi appare altamente demagogico in quanto il sistema elettorale prevede il voto di lista e Veltroni segna con il suo nome la lista del PD. Veltroni il Pinocchietto colpisce ancora...
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Il Governo che verrà aiuterà i Gay?
[Omoeros]
Di politica vorrei spesso non parlare. Non è un argomento che mi emoziona più di tanto visto che mi ha sempre regalato sentimenti che vanno dalla rabbia alla tristezza all'indifferenza alla vergogna e poche, pochissime volte ho gioito per qualcosa che è stato fatto in ambito politico in Italia. L'appena terminato governo Prodi era ricco di speranze per il popolo glbt, ma a conti fatti non è stato fatto assolutamente nulla di tutto quello che avevano promesso. Niente legge che punisca i reati di omofobia, niente che faciliti la vita alle transessuali come voleva Vladimir Luxuria nè tanto meno è stata approvata nonostante i cambi di nome e di modello la cosiddetta legge che tuteli le coppie di fatto. Adesso si ritorna alle urne.. la speranza resta ancora in piedi o dobbiamo solo sperare che arrivi il male minore al governo? Il Partito Democratico, diciamocelo, è fin troppo puntato verso il Vaticano per testimoniare la laicità del nostro stato, e la Sinistra Arcobaleno appena nata potrebbe essere interessante sulla carta, ma in quanti la voteranno? Ma cosa ci resta fare allora? Chi votare per tutelare finalmente noi gay e non farci apparire sempre come persone contro natura? Berlusconi? Mi faccio una sana risata, considerando soprattutto le vane speranze che custodivano quelli di Gaylib, movimento omosessuale di destra che davvero pensava che il cavaliere osasse difenderli a spada tratta.. Già non riesco a capire come faccia un gay ad essere di destra, ma questo aprirebbe un altro infinito capitolo. In attesa che la campagna elettorale diventi più accesa e si facciano promesse da marinaio io resto in stand by...
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E alla fine, chi si contenta gode... La "Noticina" della Gayband del Pd.
Pd/Tavolo Glbt: Bene Veltroni sui diritti gay.
Importante l'impegno per la lotta all'omofobia.
(Apcom) "Walter Veltroni ha affermato chiaramente che tra gli impegni che ci assumiamo come Partito democratico ci sara' il riconoscimento dei diritti delle persone che si amano e convivono e la lotta all'omofobia". Lo si legge in una nota del Tavolo Lgbt del Partito democratico
"La costruzione di un Italia moderna passa anche da qui. L'impegno di Veltroni ci fa pensare che il cammino verso la piena cittadinanza delle lesbiche e dei gay italiani anche nel nostro paese e' un cammino che si puo' fare"", prosegue la nota.