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mercoledì 23 aprile 2008

Tutti pazzi per la Lega. Soprattutto a sinistra.


(Stefano Di Michele - Il Foglio) C’è voluto niente – oddio, proprio niente no: una disfatta elettorale – per passare, nei più colti cenacoli dopocena, nelle apposite librerie de’ sinistra (Roma chiacchierona) dall’invidia del pene all’invidia – l’ambito è più o meno contiguo – del celodurismo. Se quelli di Bossi non ci stanno attenti, facile ritrovarsi la prossima estate con tutti gli sbandati della Sinistra arcobaleno accampati nel pratone di Pontida, come una volta dalle parti dell’Avana quando si andava a tagliare la canna da zucchero. Perché qui non è solo questione di analisi politologica, dell’abbandono da parte degli operai (non decentemente bilanciato dal concorso delle bertinottiane principesse in lacrime, secondo dettagliato resoconto di Mario D’Urso), dei tre milioni di voti squagliati via che altro che buco dell’ozono, piuttosto il buco nell’arcobaleno. Davvero, ma non è soltanto questo. Ora che tanti rivoluzionari vogliono andare a prendere lezioni da Maroni anziché da Marcos, svernare in Val Brembana piuttosto che nella Selva Lacandona, quello che si coglie è uno scoramento diverso – umano, prima che politico. Lo ha ben raccontato su Repubblica Dario Vergassola, il comico che alla chiusura della campagna elettorale stava sul palco a far compagnia a Bertinotti. Il compagno Vergassola – che pure ha dato alle stampe un libro garbatamente intitolato “Me la darebbe?”: un rivoluzionario ha gli ormoni, ma pure buona educazione – ha spiegato la pena che si vive a sinistra come paccate di analisi socio-politiche non avevano finora fatto. “Quello che invidio ora è la gioia dei leghisti che s’incontrano al bar consapevoli di avere qualcosa in comune, mi ricorda l’animo e il sapore delle feste dell’Unità di trent’anni fa. E’ un entusiasmo che non riesci a smorzare e può essere solo vincente”. Ecco: la straziante sensazione della piadina che si vota alla causa padana, della salsiccia che si fa federalista, delle corna di Vercingetorige che sostituiscono il basco guevarista. Già le ultime feste dell’Unità erano state ribattezzate Democratic party, adesso la tristezza stringe la gola, e costringe ad aspettarsi, come fa sapere Vergassola, di tutto: persino la Casa del popolo che si fa Casa del popolo padano. Tra poco, i leghisti non sapranno più dove accampare gli ex rivoltosi in processione dalle loro parti, gli ammiratori di recente conio, i nuovi cittadini onorari di Gemonio. Lo ha detto a brutto muso, a quelli che insistono con l’antica iconografia, il compagno Francesco Guccini, che ha cantato i tempi belli con l’Unità in tasca (i più arditi) e che ora potrebbe agli ultimi scampoli della Sinistra raccomandare un’altra sua canzone, quella che “non siamo, non siamo, non siamo…”. A Diliberto e soci ha spiegato: “Agli operai, di falce e martello non gliene frega più niente… Anche gli operai della Fiom hanno votato per la Lega”. E così, la famosa avanguardia, presa alla sprovvista e presi pochi voti, si fa intendenza, segue la classe di riferimento ove la classe di riferimento va, non avendo voluto seguire il supposto partito di riferimento. Così, sul modello Lega, è tutto un saggio interrogarsi, da Luca Casarini a Marco Revelli, dal Manifesto a Liberazione. Ma meglio dice, di quel nodo in gola, il più saggio di tutti, il compagno Vergassola: “E’ come quando finisce un amore. E’ ancora presto, devo ancora elaborare il lutto”. Ma con urgenza e senza dibattito, ché altri lutti già si profilano all’orizzonte.

Veltroni e i capigruppo del Pd. La soluzione del rebus sta al Campidoglio.

Il sindaco di Roma e candidato segretario del Pd Walter Veltroni (dx) e la presidente del gruppo dell'Ulivo al Senato, Anna Finocchiaro
(Panorama) La composizione della squadra? Un bel rebus. E non solo per il Cavaliere, prossimo inquilino di Palazzo Chigi. Anche il “principale esponente dello schieramento avverso”, alias Walter Veltroni, è alle prese con il rebus. A chi affidare la guida dei gruppi parlamentari dei Democratici alla Camera e al Senato?

Molto (quasi tutto) dipende dal ballottaggio in Campidoglio. E tante sono le ipotesi e le opinioni che ruotano intorno alla sfida tra Rutelli e Alemanno. Un punto fermo, tuttavia c’è. Anzi, sono due. Il primo riguarda il rapporto tra Pd e Idv, proprio sulla formazione di una compagine unitaria in Parlamento. Il nodo, secondo quanto sintetizza il capogruppo dell’Idv alla Camera, Massimo Donadi che, insieme a Leoluca Orlando ha incontrato al loft Dario Franceschini e Goffredo Bettini, non è ancora stato sciolto. Però, sostiene Donadi, “c’è totale armonia sull’approdo finale che è quello del partito unico”. C’è solo una differenza (non da poco) sui tempi: “O sono tre mesi o sono due anni” dice Donadi “ma di certo faremo il partito unico entro questa legislatura. Il gruppo unico è solo una conseguenza”. Quindi, se non ci sarà immediatamente il gruppo unico, è probabile che ci sia una federazione e un forte coordinamento tra i due gruppi con uno speaker unico in Parlamento per i provvedimenti più importanti.

La differenza la fanno i tempi, anche in casa Pd. In attesa che Di Pietro entri a far parte della pattuglia, ecco l’altro punto fermo a cui è aggrappato il segretario Veltroni: dare una presidenza dei gruppi del Pd di Montecitorio e Palazzo Madama agli ex Ds e una agli ex Dl. Prima di maggio (il 29 aprile si inaugura la XVI Legislatura), il segretario deve mettere a posto gli incastri di quella sorta di “cubo di Rubik” che sono le scelte dei capigruppo, dei loro vice, delle vicepresidenze di Montecitorio e di Palazzo Madama e dei ministri-ombra dell’annunciato “shadow cabinet”. L’ipotesi al momento più accreditata, sempre che Rutelli vinca il ballottaggio a Roma, è che alla Camera resti un popolare e al Senato un diessino. Lo schema potrebbe allora essere Fioroni a Montecitorio e Chiti, Latorre o Morando a Palazzo Madama. Anche se quest’ultimo pare in netto vantaggio rispetto agli altri due.
Sarebbe soprattutto Franco Marini a spingere in questa direzione perché l’attuale seconda carica dello Stato dovrebbe andare a ricoprire il posto di Prodi come presidente del partito e tra i senatori ex-Dl non ci sono le personalità più “rappresentative e forti” di quell’area.

Secondo fonti del loft, il segretario però è tra chi spinge per una “linea di continuità”, ossia riconfermare gli attuali responsabili Antonello Soro (vicino al vice Franceschini) e Anna Finocchiaro (dalemania doc), anche a costo di contravvenire uno dei suoi pallini: il rinnovamento delle poltrone. Cambio che Massimo D’Alema invece vorrebbe. E con queste novità: Pier Luigi Bersani a guidare i 217 deputati a Montecitorio e a Palazzo Madama,a capo dei 118 senatori, l’ex margheritino Luigi Zanda. Con Bersani in campo, anche Piero Fassino potrebbe avanzare una nomina di pari livello, se non in Parlamento almeno nel governo ombra annunciato da Veltroni.

Ecco perché con tutte queste caselle da riempire, con il rischio che spostandone una crolli l’organigramma, a Veltroni, per ora conviene congelare gli incarichi attuali e sperare… Che Rutelli vinca la sfida, che Roma resti del Pd, che lui stesso possa stare saldo in sella alla guida del partito.

Famiglia Cristiana: "Silenzio assordante sulla disfatta del laicismo".

Dopo le ripetute accuse alla chiesa avversaria della modernità. Savino Pezzotta e Pier Ferdinando Casini dell’Udc-Rosa bianca. Il non esaltante risultato elettorale che hanno avuto alle elezioni segnala l’ormai debole peso del voto identitario cattolico.

(Beppe Del Colle - Famiglia Cristiana) La cancellazione della sinistra estrema dal Parlamento in conseguenza del voto del 13/14 aprile, e la contemporanea assunzione della Lega a partito decisivo degli equilibri politici nella nuova legislatura, hanno fornito gli argomenti principali di analisi a tutti gli editorialisti.

Peccato che in tal modo sia però rimasto in ombra un altro argomento: quello del cosiddetto "voto cattolico".

In realtà non sarebbe potuto essere un tema facile per gli analisti, dal momento che la fine della Dc ha suscitato da tempo in quel nostro mondo, a partire dalla gerarchia ecclesiastica, l’idea che i cattolici siano cittadini come gli altri, liberi di votare per chi vogliono, e che la fede non sia dirimente in nessuno degli ambiti più spiccatamente politici, contrassegnati dai naturali interessi di ognuno, fatta salva la fedeltà ai princìpi etici "non negoziabili".

Per questo nessun grande quotidiano ha parlato fin qui del "voto cattolico", con l’eccezione del sociologo Franco Garelli su La Stampa, il quale ha fatto due osservazioni. La prima è che molti cattolici del Nord Italia hanno votato per la Lega, in quanto hanno trovato «nelle visioni e nel linguaggio del Carroccio vari motivi di assonanza e di convergenza», soprattutto sull’«aumento degli immigrati, la crescita dell’islam, la paura dell’impoverimento, la crisi del ceto medio», senza che tutto questo si possa considerare semplicemente "conservatore" o "razzista".

La seconda osservazione di Garelli riguarda il «debole peso del voto identitario cattolico», sia nel non troppo esaltante risultato ottenuto dall’Udc e dalla Rosa bianca, sia nel Partito democratico, che «non è stato in grado di far breccia sui cattolici moderati politicamente incerti o delusi dal modello di Berlusconi». Due osservazioni che portano il sociologo cattolico a dubitare che sia mai possibile, in futuro, la «nascita di un figlio della Balena bianca», una Dc titolare di un nuovo grande progetto politico.

Va aggiunto che almeno una parte dei suffragi ottenuti dall’Udc è venuta da cattolici di Centrosinistra, su cui ha fatto un pessimo effetto l’inserimento nelle liste del Partito democratico di nove esponenti radicali (tutti eletti, dati i posti loro concessi nelle liste); e quei voti possono aver compensato, per il partito di Casini e Pezzotta, quelli usciti dalle sue file per unirsi al Popolo della libertà, al seguito dell’onorevole Giovanardi.

Ma c’è un altro esito elettorale che conosce sulla grande stampa un silenzio ancora più fitto: la scomparsa dalla scena politica, con la disfatta della Sinistra l’Arcobaleno e del Partito socialista di Boselli, del tema principe del laicismo italiano di questi ultimi anni (dal fallito referendum contro la legge sulla procreazione artificiale in poi), e cioè l’attacco alla Chiesa in quanto avversaria della modernità e dei "diritti" dei cittadini, in nome della morale naturale di origine divina.

Il voto espresso dagli italiani non lascia dubbi: a ben pochi di loro quei "diritti" interessano sul serio, come sa chi conosce i motivi di tante coppie di fatto e di aborti, motivi molto poco ideologici e molto più economici e sociali. In Parlamento soltanto i nove radicali eletti con il Pd potranno esercitarsi a chiedere i Dico e tutto il resto (chi nel Pd lo farà, rischierà di mettere in crisi l’unità già non facile del partito).

Sia pure tenendo conto che anche nel programma del Centrodestra vittorioso, come ha notato Francesco D’Agostino su Avvenire, «il riferimento ai temi di rilevanza etica è stato davvero fin troppo contenuto».

Match per il Campidoglio. Sicurezza, Rom e Alitalia: lite Rutelli-Alemanno.

Gianni Alemanno e Francesco Rutelli prima del duello tv a Ballarò | Ansa
(Panorama) L’emergenza sicurezza e la questione Alitalia sono stati i temi centrali del faccia a faccia tra i candidati a sindaco di Roma del centrosinistra Francesco Rutelli e del Pdl Gianni Alemanno nel corso della trasmissione televisiva Ballarò in vista del ballottaggio per le elezioni comunali di domenica e lunedì prossimi.

Non inganni la foto, di rito, sopra: la cordialità fra i due dura solo un attimo: prima che la trasmissione entri nel vivo. Nello studio arroventato dalle luci e dalla tensione, il fair play cede il posto allo scambio dei colpi. Già alla prima domanda, il confronto è serrato, ma senza grande picchi di nervosismo. A prendere la parola, dopo un sorteggio perso, è stato per primo Alemanno che mostrando il quotidiano Il Messaggero ha subito introdotto l’aggressione e la violenza della studentessa del Lesotho avvenuta giovedì scorso e il tema della sicurezza sostenendo che a Roma “ci vuole il cambiamento” perché “queste cose non devono più accadere. A Roma c’è bisogno di una svolta” perché “da 15 anni c’è lo stesso gruppo di potere” alla guida della città, riferendosi agli anni di governo del centrosinistra. Ma Rutelli ha replicato: “il primo ad aver sollevato questo tema è stato l’allora sindaco di Roma Veltroni. Non è un problema del sindaco, ma del Paese. Dobbiamo essere uniti contro questo problema”.

Rutelli ha poi mostrato “il dispositivo di comunicazione” più noto come braccialetto per le donne che tante critiche ha suscitato. E Alemanno ha replicato: “Non mi piace l’idea della sicurezza fai da te. Le ronde e il braccialetto elettronico non mi convincono. La sicurezza è un valore sociale, è un problema dei più deboli. Il paragone con Milano - ha aggiunto replicando a Rutelli - non regge molto. A Roma ci sono 85 campi nomadi, è una realtà impressionante”.

Riferendosi al precedente governo Berlusconi, Alemanno ha sottolineato che “noi abbiamo regolarizzato 640mila persone, che avevamo ereditato dal passato, erano già entrate nel nostro Paese, già lavoravano in nero e sono state prese le impronte digitali”. Il candidato del Pdl ha quindi ricordato che la Romania è entrata in Europa nel gennaio del 2007 quando il Governo Prodi era già in carica. Non sono mancate battute con Rutelli che rivolgendosi ad Alemanno ha detto: “Hai parlato di colonnine SS, hai avuto un lapsus”.
“Dai, dai”, ha replicato Alemanno. E poi è stata volta di Alemanno a prendere in giro Rutelli quando ha apostrofato il suo avversario: “No tesoro…” e lui ha risposto: “Tesoro mai”.

Poi a dominare è stato il tema dell’Alitalia. “Oggi” ha esordito Rutelli “La Padania scrive: ‘La lega vince, Air France vola via’. A chi la volete dare Alitalia? Ai russi? Oggi Alitalia vale meno perché voi, quando eravate al governo, avete fatto non una politica industriale ma una divisione tra Malpensa e Fiumicino che ha portato la compagnia di bandiera vicina al fallimento. Ma dove sta la cordata italiana di cui parlavate?”. “Noi riteniamo che si può costruire una cordata italiana” ha replicato Alemanno che, incalzato da Rutelli, ha ha aggiunto alzando il tono della voce: “Non si può svendere Alitalia. Alitalia, Rutelli, capito? Italia, Italia, Italia”.