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lunedì 28 aprile 2008

GayLib si complimenta con Alemanno ma non hanno una strategia pro-gay ora che il centrodestra ha conquistato Roma.

«Con lui c'è la maggioranza dei gay che non si riconosce nella strategia di omosessualizzazione e resistenza pietosa portata avanti dalle associazioni gay di sinistra».

«Facciamo i migliori auguri di buon lavoro al sindaco Gianni Alemanno. Roma è una città che ha bisogno di cambiamento, di una maggiore sicurezza e di più libertà. Confidiamo nel nuovo primo cittadino affinché in ossequio al valore scelto come bandiera sappia operare con coscienza e responsabilità verso i diritti di tutti, senza dimenticare la comunità omosessuale».

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Berlusconi: "Roma merita il buon governo del Pdl".

(Il Giornale) "Roma è una città stupenda, una grande capitale, che meritava e merita un buongoverno degno delle più importanti capitali europee. Questo significa che deve essere amministrata meglio di quanto sia stato fatto negli ultimi 15 anni dalla sinistra". Lo afferma il leader del Pdl, Silvio Berlusconi, nella nota di commento alla vittoria di Gianni Alemanno per Roma. "I romani lo hanno capito - prosegue il premier in pectore - e, con una maggioranza chiara e di grande significato politico, hanno premiato il programma di buongoverno del Popolo della Libertà, volto a coniugare una maggiore sicurezza di Roma con l’ammodernamento delle infrastrutture urbane, indispensabili per migliorare la qualità della vita dei romani e sostenere lo sviluppo economico di una città patrimonio del mondo intero".

"Nella sua prima dichiarazione, dopo la vittoria, Gianni Alemanno si è impegnato ad essere il sindaco di tutti i romani, anche degli elettori che si sono schierati per l’altra parte. È un impegno - sottolinea Berlusconi - che gli fa onore, poiché le sfide che dovrà affrontare per fare di Roma una città più bella, più pulita, più ordinata, più vivibile richiederanno un consenso ampio e unitario della cittadinanza romana".

"Mi auguro che, nonostante la sconfitta, l’opposizione che siederà in Parlamento e in Campidoglio confermi l’impegno a collaborare nella riforma dell’architettura istituzionale, compresa quella di Roma capitale". "Grazie Romà, grazie a tutti i romanì - scrive Berlusconi - e un grande augurio di buon lavoro a Gianni Alemanno, nuovo sindaco di Roma".

Rutelli: "Le elezioni sono state vinte da Alemanno". E lo accusa di strumentalizzazioni.

Il candidato del Popolo delle libertà, Gianni Alemanno, è il nuovo sindaco di Roma. Succede a Walter Veltroni, dimessosi per partecipare quale candidato premier alle ultime elezioni politiche.

Hanno terminato lo scrutinio il 97,08% degli Uffici elettorali di sezione. I risultati, non ancora ufficiali, danno Alemanno al 53,62%, contro il 46,38% ottenuto dall'altro candidato ammesso al ballottaggio, Francesco Rutelli (PD)...

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La parabola Rutelli, ovvero: chi è causa del suo mal...

(Cadavrexquistar) Quanto mi dispiace! Oh, quanto mi dispiace! Sono in ambasce perché il povero Francesco Rutelli non è stato eletto, per la terza volta, sindaco di Roma e ha dovuto cedere il passo al truce Gianni Alemanno. Chissà, forse non è stata proprio una buona idea quella di candidare chi è stato condannato - in Cassazione - per le consulenze d'oro ai tempi dei suoi precedenti mandati e ha, disgraziatamente, inaugurato la stagione cristiano-fondamentalista del neonato Partito Democratico attraverso quell'operazione di ingegneria genetica che vede la sua punta di diamante nella candidatura di Paola Binetti in Parlamento. Forse qualcuno pagherà per aver imposto per la terza volta un personaggio di questo tipo, senza nessun tipo di consulenza democratica prima. Forse qualcuno si accorgerà che questa rincorsa ai voti del centro e dei cattolici non ha portato esattamente i frutti sperati. Forse qualcuno intonerà un mea culpa per aver parlato di "difesa della laicità" schierandosi però subito, al primo voto, dietro questo baciapile. In ogni caso, se guardo i risultati, una cosa mi colpisce: non sarebbero bastati i voti dell'Udc e della Destra per far recuperare ad Alemanno lo stacco che aveva con Rutelli. Questo vuol dire che, molto probabilmente, Alemanno ha attinto anche ai voti di molti che avrebbero eletto un altro candidato di centrosinistra, se fosse stata data loro l'opportunità di farlo. Ma più poté il disgusto per il Rutelli, a quanto pare. Dal 45,8% del primo turno, Rutelli è salito al 46,4%, mentre Alemanno è passato da un 40,7% a un 53,6%. I numeri, dunque, parlano. Io, comunque, non mi preoccupo: già mi aspetto una bella resa dei conti all'interno del Partito Democratico e un radicale ripensamento sulla strategia di "conquista del centro e della destra", fallita, perché è evidente che tra l'originale e la copia, meglio l'originale, e tra il nemico e il traditore, be', meglio il nemico. E poi non mi preoccupo anche perché sono certo che, da galantuomo qual è, Rutelli non userà l'escamotage di farsi recuperare alla Camera, ma resterà in consiglio comunale, a Roma, dove combatterà una dura opposizione. Di sinistra e laica, ovviamente. Conoscendolo. Però... quanto mi dispiace, ah, quanto mi dispiace!

Alemanno sindaco, una sfida per i gay romani.

(River-blog) Gianni Alemanno è il nuovo sindaco di Roma. Con un risultato che neanche lui si aspettava, ha sconfitto il più quotato Francesco Rutelli. Era una sfida difficile, il cui risultato era difficilissimo da prevedere, anche per il sottoscritto e per i sondaggisti con cui mi era capitato di parlare nei giorni scorsi (”Una previsione? Impossibile. 50 e 50″ mi ero sentito direi solo ieri). Ma la sconfitta rutelliana era nell’aria. Walter Veltroni è stato il miglior sindaco che Roma abbia mai potuto avere. Un sindaco che si sporcava le mani con le questioni di tutti i giorni, e che ama la politica, col cuore e con lo stomaco. Ma Rutelli, a sentire molte persone di sinistra, non era per niente amato. Scorbutico, arrogante, saccente: gli aggettivi che ho sentito più spesso da chi parlava di lui.

E adesso? Scelgo la prospettiva della comunità gay romana, da sempre divisa, spesso per banalissime questioni di soldi (penso agli accordi dell’ArciGay di Roma con la giunta Veltroni per una linea telefonica d’ascolto - accordo ‘promesso’ anche da Rutelli; penso agli inutili scontri tra il Mario Mieli e Digayproject; alle polemiche sui partiti da sostenere). Ecco, io penso che di fronte alla vittoria di una destra che certamente non si batterà per i diritti gay (Rutelli lo avrebbe fatto?), venga offerta una possibilità. La possibilità di compattarsi, di fare fronte unico contro l’omofobia che è spesso latente nella destra italiana, così diversa da quella Usa. I gay della capitale possono fare quello che a livello nazionale non è mai stato fatto: unire le forze, creare una sigla forte, in grado di smuovere interessi, politici ed economici. Insomma, fare una lobby vera e propria, come avviene in America.

Detto ciò, viviamo in un paese di centrodestra. Ormai credo sia un dato di fatto.
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Ore 17.30, dal sito del Ministero degli Interni:

  • Rutelli: 46.921
  • Alemanno: 53.078

sabato 26 aprile 2008

A furia di pensare ai gay la sinistra li perde per strada.

(Fausto Carioti - Liberazione) In realtà, tutto quello che c'è da dire sull'argomento è già stato messo nero su bianco, con invidiabile capacità di sintesi, nella lettera che un operaio di Piombino ha inviato a Fabio Mussi, e che a dicembre il ministro mostrava ai giornalisti. «Non vi seguo più», scriveva il ruspante compagno maremmano al suo referente politico, «ormai vi occupate soltanto di carcerati, di finocchi e di negri». Ecco, lasciamo perdere i carcerati e i «negri», e occupiamoci della terza categoria. Bisogna farlo, perché la sinistra ha appena riesumato la questione omosessuale. In funzione antiberlusconiana, ovviamente. Al Cavaliere è bastato dire una ovvietà, e cioè che sarà meglio che il prossimo commissario Ue italiano si interessi «di infrastrutture e di trasporti invece che di omosessualità», per scatenare gli strepiti delle vestali del politicamente corretto: Berlusconi omofobo, destra berlusconiana fascista e impresentabile e così via. Il tutto, va da sé, tenendo un occhio preoccupato sulla capitale, dove Gianni Alemanno rischia di essere eletto sindaco. A la guerre comme à la guerre : urge evocare lo spettro della marcia su Roma. Eppure il futuro presidente del Consiglio si è guardato bene dal ricorrere a epiteti offensivi. Ha parlato di «omosessualità», e lo ha fatto per dire che esistono questioni politiche più importanti di essa. Ha anche spiegato perché intende cambiare i compiti del commissario italiano: «Visto che abbiamo da riprendere un grande piano di opere pubbliche, avendo un nostro commissario possiamo lavorare meglio». Difficile dargli torto. Anche perché autostrade e ferrovie interessano tutti - ricchi e poveri, uomini e donne, omo ed etero - e non vi è nulla di strano che, nell'agenda di un Paese disastrato come il nostro, vengano prima di molte altre cose. E comunque, anche se non si è d'accordo con Berlusconi e le sue priorità, resta il fatto che nella sua frase non vi era nulla di scandaloso. Dagli all'omofobo

Ma a sinistra c'è chi si accontenta di molto poco. Barbara Pollastrini, ministro (ancora per pochi giorni: c'è una giustizia anche in questo mondo) alle Pari Opportunità, in preda a un fremito d'orrore per le parole del Cavaliere si chiede «come possa un premier dare una gerarchia ai diritti in questo modo». Va compresa: dalla sua parte sono talmente abituati a relativizzare tutto che la poverina ormai giudica eversiva la semplice idea di ritenere alcuni diritti più importanti di altri. Una deputata del Pd, Paola Concia, accusa Berlusconi di «omofobia e incapacità di unire gli italiani». Insorge pure Franco Grillini, candidato sindaco alle comunali romane per i socialisti e presidente onorario dell'Arcigay: «L'infelice frase berlusconiana la dice lunga su ciò che la destra italiana pensa delle minoranze e dei diritti civili». L'Unità ieri, in prima pagina, si è appellata a Veronica Lario, chiedendole di fermare il marito, autore di parole tanto scellerate. Il bello è che sono gli stessi elettori omosessuali, inclusi quelli di sinistra, che danno puntualmente ragione a Berlusconi. Anche per loro esistono temi politici assai più importanti di quello che accade dentro le camere da letto degli italiani. E infatti, chi si presenta come portabandiera dei temi gay viene regolarmente snobbato. Forse qualcuno ricorderà Ivan Scalfarotto. Era l'unico candidato dichiaratamente omosessuale alle primarie dell'Unione nell'ottobre del 2005. Ottenne appena lo 0,6% dei voti. Prendendo per buone le stime di Grillini, secondo il quale gli omosessuali sono tra il cinque e il dieci per cento della popolazione, vuol dire che la stragrande maggioranza degli elettori omosessuali di centrosinistra ha votato, alle primarie, per qualcun altro, facendo così capire che della questione "omo" a loro stessi importa assai poco. Lo stesso Grillini, che del movimento gay italiano è l'alfiere politico indiscusso, si è appena candidato a sindaco al grido di «Roma laica, Roma libera». Una parte del suo programma era dedicata alla «comunità gay e lesbica» e prevedeva, tra le altre cose, la «pedonalizzazione della gay street» romana, il lancio in grande stile del turismo omosessuale nella capitale e la «apertura del registro delle unioni civili anche alle coppie dello stesso sesso». Un tema, quest'ultimo, che è stato tra i più incandescenti di quelli trattati nell'ul tima legislatura, durante la quale, in certi momenti, è sembrato persino che il destino del governo Prodi dovesse decidersi sul riconoscimento delle unioni gay. Nella campagna elettorale per il sindaco di Roma, Grillini è stato l'unico a proporre simili cose. Niente di analogo è rintracciabile, ad esempio, nel programma di Francesco Rutelli, dove in compenso abbondano i riferimenti all'«ordine» e alla «sicurezza». Era lecito pensare, insomma, che il mondo omosessuale, per convenienza, per mancanza di alternative o per stima nei suoi confronti, premiasse il suo portavoce storico. Invece Grillini è uscito dalle urne con le ossa rotte: appena 13.620 voti per lui, lo 0,8% del totale. La grandissima maggioranza degli omosessuali capitolini non ha votato per lui, ritenendo le sue proposte politiche poco interessanti. Elettori come gli altri

La morale è chiara: nonostante il gran parlare che se ne fa a sinistra e l'importanza epocale che viene data all'argomento, per tantissimi gay la questione omosessuale non è granché importante. Prima, molto prima, vengono la sicurezza, le tasse, il traffico, lo smaltimento dei rifiuti e gli altri temi "ordinari" della campagna elettorale. Il significato del loro voto è profondamente egualitario: vuol dire che non si sentono elettori diversi dagli altri e che la gran parte di loro non ritiene la propria situazione difficile al punto di aver bisogno di leggi particolari. Chi pretende di rappresentare il loro voto secondo schemi legati alle preferenze sessuali, regolarmente fallisce. A ben vedere, a sinistra dovrebbero rallegrarsene e prendere atto delle indicazioni - chiarissime - che arrivano dalle urne. Mentre Berlusconi mostra di avere ottimi motivi per mettere in cima all'agenda italiana altre priorità. È il solito dilemma della sinistra: dare retta agli umori schietti della base o continuare a credere che la vita sia davvero tutta lì, in quelle tre o quattro ideuzze politicamente corrette che animano le loro discussioni e con le quali pretendono di giudicare ogni giorno l'operato degli avversari. Di solito seguono la seconda strada, e infatti sempre più spesso, quando si voltano, si accorgono che gli elettori li hanno mandati avanti da soli.

Il 25 aprile e la sfida per il Campidoglio

(Sky tg24) Ieri il comizio di chiusura della campagna elettorale di Gianni Alemanno, sul palco di piazza Navona insieme a Berlusconi e Fini. Ma anche oggi per il candidato sindaco di Roma del Popolo della Libertà continua la caccia all'ultimo voto. Ultime ore di campagna elettorale anche per Francesco Rutelli. Il candidato sindaco del Pd si trova a Roma nel quartiere di Tor Pignattara.
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Ballottaggi, Rutelli e Alemanno chiudono la campagna elettorale.

Domani giornata di silenzio prima del voto. Riflettori sulla sfida per il Campidoglio.
(La7) Si chiuderà questa sera con un faccia a faccia televisivo la campagna elettorale di Francesco Rutelli e Gianni Alemanno, che si preparano alla sfida per il Campidoglio. Domani sarà infatti giornata di silenzio elettorale in vista dei ballottaggi che si terranno domenica e lunedì. Quasi sei milioni i cittadini che saranno chiamati a votare per cinque province e 44 comuni. Riflettori puntati sulla capitale dove si profila un testa a testa in cui decisivi potrebbero essere i voti dei centristi. Due in particolare i temi che hanno infiammato il confronto fra Rutelli e Alemanno: la sicurezza e le politiche per l'immigrazione da un lato, il problema casa e il caro mutui dall'altro.
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venerdì 25 aprile 2008

Perchè la Lega ha intercettato i voti della sinistra...

Messaggio pubblicato da un compagno di Torino sul forum della Sinistra Arcobaleno nei giorni seguenti la disfatta elettorale:

Care Compagne e cari Compagni,
vorrei proporvi uno spunto di dibattito sulle ragioni della sconfitta, partendo dalla mia esperienza personale.
Pur non essendo l’elettore tipico della sinistra cosiddetta antagonista, sono uno dei pochi oggi rimasti fedeli ai nostri ideali, anche se con alcune riflessioni critiche. La mia atipicita’ deriva dall’appartenenza alla categoria dei cosiddetti “colletti bianchi”, contratto a tempo indeterminato settore Telecomunicazioni, tutele dell’articolo 18, casa ed auto di proprieta’, sposato. In pratica, quello che definisce il ceto medio (seppure basso) che, quando ero giovane ha dato origine alla grande sconfitta delle ragioni dei lavoratori con la marcia dei 40.000. Io pero’ sono rimasto fedele ai miei ideali di gioventu’ ed ho sempre votato Comunista da quando ho avuto il diritto di voto, perche’ desidero che le opportunita’, i diritti ed il benessere che ho conosciuto attraverso le lotte dei nostri padri ed in parte anche mie, possano conoscerli e goderne tutti. E dopo 45 anni su questa terra ed almeno 25 anni di vita politica con l’ideale Comunista, non avere rappresentanza in Parlamento mi ferisce e disorienta almeno quanto la morte del compianto Compagno Segretario Enrico Berlinguer. E dunque, dobbiamo analizzare tutte le cause della nostra terribile sconfitta e rimuoverle tutte, senza tentennamenti. E veniamo alla tristissima esperienza che vi illustro.

Due anni or sono, sono riuscito a portare mia moglie, alcuni familiari e conoscenti, a votare per noi. A parte la candidatura del Compagno Vladimir Luxuria, validissima ed intelligentissima persona per me, ma criticato aspramente dai miei conoscenti come “non da rappresentanza Parlamentare”, la primissima cosa che mi hanno rinfacciato tutti e’ stato la vergogna di aver appoggiato l’indulto. A seguire, le critiche piu’ feroci le ho sentite sulle questioni “tasse per il risanamento”, accettazione del pacchetto sullo stato sociale e tante, ma tante maledizioni sulla questione immigrazione.

Perche’ a Torino, una donna quasi non puo’ avventurarsi da sola in auto. Ad ogni incrocio si e’ presi di mira da lavavetri e venditori di ogni sorta di inutilita’ e se si rifiuta “il servizio caritatevole”, quando va bene sono improperi e male parole, se va male sono calci alla vettura. Ora una persona che lavora, difficilmente passa un solo incrocio nel tragitto tra casa e luogo di lavoro. Dovendo “accettare” di fare la carita’ ad ogni incrocio per evitare improperi e/o danni peggiori, vogliamo pensare che si mangera’ questa persona per cena? Vogliamo parlare dei furti? La maggioranza dei furti di cui sono a conoscenza io non riguarda persone che possano fare a meno della roba sottratta. I furti avvengono per la maggior parte a danno di gente che non arriva a fine mese, soprattutto anziani,i piu’ facili da raggirare e rendere inoffensivi. Operai come impiegati, geometri come commercianti, in una grande citta’ nessuno e’ al riparo dalla piaga dei furti. La altre obiezioni che sento spesso riguardano il comportamento degli extracomunitari. Dai viaggi a sbafo sui mezzi pubblici, alla sporcizia della citta’, alla rivendicazione della loro cultura a danno della nostra (questione crocifissi, presepe etc.) Altre obiezioni mi vengono fatte sulla droga e sulla liberalizzazione delle droghe leggere, alla troppa attenzione alle questioni dei gay e via di questo passo. Morale della favola, nel seggio siamo passati da 23 voti a 5 su 281 elettori. E dunque, essendo un Paese che si e’ buttato a destra, perche’ non scendiamo tra la gente ed ascoltiamo le proposte assecondando quelle che possono essere ascoltate da noi? Primariamente i temi DEL LAVORO e dei DIRITTI DEL LAVORO, quelli sono NOSTRI da sempre!!!! Insistere sui temi dell’integrazione e dei diritti dei carcerati, non dare una voce alla famiglia tradizionale mettendo l’accento sulle questioni individuali, proporre la liberalizzazione delle droghe leggere in piena stagione di stragi del sabato sera, a mio avviso puo’ essere fatto solo e soltanto dopo che una cultura realmente di sinistra e’ stata ricostruita. Le macerie culturali del berlusconismo ci obbligano alla ricostruzione dei valori di liberta’, uguaglianza e solidarieta’ che ci contraddistinguono a partire dalla Resistenza, ma senza aver fatto prima quel lavoro, insistere su temi “avversi” a tutti tranne che a noi ci obbliga al movimentismo perenne se non dalla sparizione certa dalla societa’. Potete farmi tutte le critiche che volete, ma la realta’ dei fatti e’ questa.

Riflettiamoci Compagni.

25 aprile. Napolitano: rifiutare gli autoritarismi. Berlusconi: il 25 aprile sia di pacificazione.

(Il sole 24ore) Non c'è revisione storica che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi per la libertà delle generazioni successive e per il ritorno dell'Italia nel consesso delle democrazie. Silvio Berlusconi, leader del Pdl e premier in pectore,in una nota diffusa in occasione del 25 aprile, sostiene che la gratitudine, però, non può impedire una ricostruzione obiettiva di quegli anni.

«Il 25 aprile – scrive Berlusconi – indica simbolicamente il ritorno dell'Italia alla democrazia e alla libertà». «In quel giorno di 63 anni fa - aggiunge il premier in pectore - si videro le piazze festanti attorno alle truppe alleate e ai combattenti per la libertà. Fu palpabile il sentimento di liberazione di un intero popolo, costretto a combattere una guerra che sperava conclusa, ma che proseguì con l'occupazione del proprio territorio. Già il 25 luglio del '43, quando cadde il regime, quello stesso sentimento di liberazione si era manifestato con una festa nazionale senza vendette e senza morti. Purtroppo seguì la guerra civile, l'occupazione da parte dei tedeschi, che creò un segno di sangue nella memoria italiana. Generò un odio tra vincitori e vinti che segnò la coscienza del Paese».

Tutto questo è storia, scrive il premier in pectore. «Credo fermamente che oggi ci siano le condizioni storiche e politiche perché questo 25 aprile possa rappresentare un salto di qualità verso la definitiva pacificazione nazionale: non per cancellare la memoria, le ragioni e i torti, ma perché chi ha combattuto per la Patria sia considerato figlio di questa Nazione. Oggi, a più di sessant'anni dal 25 aprile, a sedici dalla caduta del Muro di Berlino, il compito della politica è quello di consolidare il tessuto connettivo della Nazione. E lo si deve fare a partire dalla nostra memoria storica».

Strada giusta, scrive Berlusconi, quella scelta 10 anni fa da autorevoli esponenti della sinistra che invitavano a capire anche le ragioni dei «ragazzi di Salò» e hanno poi, più recentemente invitato a saldare il debito contratto con gli esuli istriano-dalmati e con chi, più sfortunato, finì infoibato. «Togliere quei veli - scrive Berlusconi - capire quelle ragioni non può in qualche modo ledere l'orgoglio di chi combatté per la libertà contro la tirannia. Non c'è revisione storica che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi per la libertà
delle generazioni successive e per il ritorno dell'Italia nel consesso delle democrazie. Ma non c'è gratitudine che possa impedire la ricostruzione obiettiva di quegli anni. L'anniversario della Liberazione è dunque principalmente l'occasione per riflettere sul passato, sul presente e sull'avvenire del Paese. Se oggi riusciremo a farlo insieme, avremo reso un grande servizio non a una parte politica o all'altra, ma al popolo italiano e, soprattutto, ai nostri figli che hanno il diritto di vivere in una democrazia finalmente pacificata».

I lumbàrd e l´orgoglio di parlare rozzo "Meglio così che un po´ fighetti"

Borghezio replica a Berlusconi: il nostro linguaggio spia della vicinanza alla gente
(Paolo Berizzi - La Repubblica) Dice Mario Borghezio che i forzaitalioti sono dei «fighetti», dei «figli di papà», gente che «non ha mai lavorato nella sua vita». Mai stato un fine dicitore, né un cucchiaio di miele, l´europarlamentare leghista: ma un merito gli va riconosciuto. Tutto si può dire tranne che per alzare il tiro abbia bisogno di essere incalzato, o provocato. Per abitudine esterna con ruvidità, anche in assenza di stimoli esterni.

Stavolta però supermariobross, come lo chiamano le camicie verdi, si è sentito toccato dentro, e, unico esponente leghista, non ha resistito a rispondere allo spillo di Silvio Berlusconi («Il linguaggio della Lega è fatto di iperboli e anche un po´ rozzo»). Tesi che a Borghezio fa venire il prurito. Dopo un «chi è senza peccato scagli la prima pietra», l´eurodeputato del Carroccio, il più «crociato» dei leghisti - non solo per le ferree posizioni anti islamiche ma anche per i procedimenti penali a suo carico e le aggressioni fisiche subite in questi anni - ha replicato al Cavaliere: «Sarà molto difficile che la Lega si depuri dalla sua rozzezza e dalla ruvidezza di espressione tipica della gente autentica». Poi la chiosa: «Così come i fighetti forzaitalioti molto difficilmente si libereranno dalle loro caratteristiche di figli di papà e di gente che spesso non ha mai lavorato».
Ecco l´affondo di Paolo Grimoldi, neodeputato e coordinatore dei Giovani padani: «Il nostro linguaggio pubblico è molto meno rozzo di quello di Berlusconi in privato». Il privato del futuro premier è fatto anche di show e di serate danzanti. Ci pensa il consigliere regionale lombardo, Daniele Belotti, a ricordarlo. «Rozzi noi? La Lega sta in mezzo al popolo, Forza Italia forse un po´ troppo nelle discoteche. Ci hanno sempre definiti rozzi e ignoranti - aggiunge - Poi hanno capito che il nostro linguaggio ha spazzato via il vecchio politichese». Tra rozzi «autentici» e fighetti che «hanno sempre trovato la pappa pronta», lo scambio di battute di ieri è stato, in ordine di tempo, l´ultimo botta e risposta a distanza tra Forza Italia e Lega. Nei giorni in cui sta prendendo faticosamente forma la squadra di governo, nonostante la netta vittoria elettorale - trionfale quella del Carroccio - gli esponenti delle due formazioni non si risparmiano frecciate e avvertimenti vestiti da "carezze" o "massaggi". Prima il dribbling di Bossi all´uscita da Arcore: «A noi quattro ministri». Poi lo stop di Berlusconi: «Non c´è niente di deciso, la squadra la faccio io». Poi Bossi che ribadisce: «Sarò ministro delle riforme», e «a noi due ministri più il vicepremier» (Calderoli).
Nel mezzo della «normale dialettica» tra alleati - come l´ha definita Berlusconi - il nodo Formigoni. Con una soluzione (berlusconiana) che gela il governatore lombardo (resterà al suo posto, per ora). Il perché Formigoni deve restare alla guida del Pirellone è ormai abbastanza chiaro, e sta tutto nell´obiezione che gli è stata mossa: il suo trasloco romano significherebbe lasciare alla Lega la Regione Lombardia. E accreditare la tesi di chi vede la coalizione di centrodestra sotto ricatto o comunque sdraiata sul Carroccio. Ieri i "colonnelli" leghisti, Maroni, Calderoli, Castelli, hanno scelto la linea della prudenza ordinata da Bossi. Largo dunque a Borghezio, e alle missive da destinare ai «fighetti».

Maurizio Belpietro: Perdono perché si sentono i migliori.

Francesco Rutelli e Walter Veltroni, due sindaci di Roma
L’Editoriale

(Panorama) A sinistra si discute delle ragioni dello smottamento elettorale. Nella hit parade delle cause domina l’incapacità di parlare al Nord e qualcuno, per porre fine alla lacuna, si è perfino spinto a immaginare un Partito democratico del Settentrione, che nel futuro sia capace di radicarsi sul territorio così come ha fatto il Carroccio. Idea in sé suggestiva, ma senza possibilità alcuna di successo: credere che bastino dei leghisti in camicia rossa, anziché verde, a risollevare le sorti del Pd, è come pensare che sia sufficiente cambiar nome a un partito per ottenere in cambio dei voti.
La batosta in realtà ha motivazioni più profonde. La sinistra non ha perso per non aver saputo parlare al Nord, semmai per non aver saputo ascoltare. Vittime del loro complesso di superiorità, molti dirigenti del Pd hanno in questi mesi impartito lezioni agli elettori ma non sono riusciti a prenderne da questi nemmeno una. Se avessero ascoltato, molto probabilmente avrebbero capito ciò che gli italiani vogliono. Un esempio? Nei giorni scorsi mi è capitato di partecipare a Porta a porta e in studio vi erano gli ex ministri Rosy Bindi e Livia Turco. Invece di essere ammutolite dalle proporzioni della sconfitta, le due onorevoli spiegavano con granitica certezza che la Lega ha vinto perché ha fatto leva sulle paure della gente. A oltre vent’anni dalla sua nascita, si continua a liquidare il movimento di Umberto Bossi come un partito che fa un uso politico della paura.
In pratica non sarebbero gli italiani a provare inquietudine per l’aumento della criminalità, e in particolare di quella d’importazione, ma sarebbe il Senatùr che li aizza, speculando su delinquenti ed extracomunitari. L’implicita convinzione è che gli elettori che si fanno incantare da Bossi sono dei sempliciotti, gente un po’ rozza, che non sa, che non conosce, come invece sa e conosce chi come Bindi e Turco ha letto e si è documentato. A sorreggere il ragionamento c’è, ovviamente, la certezza dei democratici di essere la parte migliore del Paese.
Il complesso di superiorità spesso acceca. Politici e intellettuali si sono a lungo rifiutati di considerare l’angoscia per l’espandersi della delinquenza come un problema, negando che esistesse o sostenendo che fosse irrazionale, dovuta alle manipolazioni dei mass media e di alcune forze politiche. Ma già nel ‘98 gli studiosi hanno accertato che il timore della criminalità è un fenomeno sociale imponente, che riguarda oltre 14 milioni di italiani. E a distanza di dieci anni è facile immaginare che il senso di smarrimento non sia diminuito.
Gli elettori, dunque, non hanno paura perché glielo dice Bossi, ma perché vedono ciò che quotidianamente accade intorno a loro. Per capire che il collegamento tra criminalità e immigrazione non è frutto di una strumentalizzazione elettorale, basterebbe leggere i rapporti del ministero dell’Interno: il 51 per cento dei denunciati per rapine o furti in abitazione è straniero, come pure il 39 per cento dei denunciati per violenze sessuali, e il tasso di criminalità degli extracomunitari irregolari è 28 volte superiore a quello degli italiani.
Dire che gli immigrati commettono, in percentuale, più reati degli italiani non è dunque un pregiudizio. Semmai il pregiudizio è, alla rovescia, quello di una parte politica che, quando viene bocciata, non dice mai di aver sbagliato, ma spiega che a sbagliare sono gli elettori. È una specie di razzismo, un mito di superiorità: non della razza, ma della sinistra.

Basta essere "utili idioti". Mai più voti in cambio di vaghe e malcerte promesse.

Un articolo postato su Gay Today e da noi pubblicato ha ricevuto un commento che riteniamo debba essere portato a più vasta conoscenza.

In politica non si è mai proceduto, in nessun Paese e in nessuna situazione storica, da parte di qualunque gruppo o minoranza organizzata, portatori di qualsivoglia rivendicazione, con «attese». Le attese sono fatte per essere deluse, e le speranze sono quasi peggio delle attese: entrambe sono sinonimo di passività, di delega, di atteggiamento rinunciatario.

Io non so se in Italia esista realmente, già oggi, una «comunità» GLBT: credo però che siamo vicini a costruirla, e che è questo il primo passo politico da compiere. Ma come si può realizzare questo obiettivo, che, a ben vedere, precede ogni altro? Solo rendendosi profondamente consapevoli dei propri diritti, acquisendo piena coscienza dei nostri inalienabili diritti, civili e costituzionali. In ogni Paese d’Europa e del mondo la «comunità» GLBT si è potuta costituire e ha potuto essere portatrice di richieste di civiltà, di diritto e di verità solo nel momento in cui i suoi componenti hanno smesso di sperare, di attendere - se mai lo hanno fatto - e anche di agire da «utili idioti», portando un voto in cambio (appunto!) di promesse vaghe e malcerte, anziché di impegni solennemente presi e ratificati, e hanno trattato da pari a pari con i Partiti politici, i singoli rappresentanti del popolo in Parlamento, nei Comuni, in ogni Istituzione.

La nostra sfida è non può non essere che la fine della subalternità dell’Associazionismo Gay ai Partiti, la fine della pacata sottomissione in cambio di un’attesa (o di una poltrona). Dalla coscienza dei diritti civili e costituzionali delle persone omosessuali e transessuali consegue la delineazione di una piattaforma di rivendicazioni e richieste che si può riassumere in pochi, chiari punti:

  • matrimonio civile come diritto di tutti senza distinzione di sesso e orientamento sessuale;
  • Pacs;
  • no agli istituti speciali per soli omosessuali, cioè alle unioni-ghetto, che non sconfiggonoo smorzano l’omofobia ma la lasciano inalterata;
  • legge contro l’omofobia;
  • accesso all’adozione e all’affido anche a famiglie monogenitoriali e a persone omosessuali.
I gay e le lesbiche hanno il diritto di inscrivere le loro relazioni nel diritto e nella legalità. E la richiesta di questi diritti deve essere espressa congiuntamente, per quanto possibile, dalle persone omosessuali insieme con le persone eterosessuali, per acquisire una maggiore forza. E per far capire che un mondo più «decente» (per dirla con Zapatero) è un’enorme acquisizione di civiltà e dignità per tutti.

Aldo Brancacci

La "trombatura" secondo l'ex onorevole Franco Grillini.

Grillini: «I laici sono maggioritari ma hanno preferito il voto utile».

(Periscopio) Franco Grillini durante il suo impegno a Montecitorio, prima nei DS e poi negli ultimi mesi nella Costituente socialista, non si è fatto conoscere solo come uno dei primi deputati dichiaratamente gay. Ma anche come grande appassionato di tecnologia e telecomunicazioni di nuova generazione. La nostra allora non poteva che essere un'intervista fatta sotto questa insegna: una chiacchierata su Skype, per parlare delle amministrative romane, ma anche del suo futuro nel mondo dell'informazione.

Grillini, come giudica il suo risultato alle amministrative romane?
«Naturalmente quando si prende lo 0.82 si desidererebbe aver preso qualcosa di più. Ma se si fa un paragone i miei circa 14mila voti, sono più di quelli dei Radicali, più di quelli di Baccini che ha speso miliardi ed ha fatto una campagna con mezzi non paragonabili con quelli a mia disposizione e sono più delle liste civiche di Rutelli, a parte quella che portava il suo nome. Bisogna allora rivalutare il risultato. Molti gay mi hanno votato, ho avuto un forte voto disgiunto e posso ritenermi soddisfatto del dato politico emerso: è stata la prima volta di un esperimento di questo tipo, un leader gay che usa la sua faccia in una competizione elettorale di questo tipo. Lo scopo principale era quello di far vivere quello che sta cuore dei laici: le libertà ed i diritti civili. C'è anche da tenere conto che tutto questo è avvenuto nel quadro di uno tsunami del voto utile, sia a livello nazionale che locale. I cittadini hanno preferito votare le coalizioni maggiori ed in particolare anche il nostro elettorato di riferimento ha votato con la paura che vincesse un candidato di destra o ultradestra».

Alla luce di quel risultato si deve dire che nella Capitale non esiste un elettorato laico?
«L'elettorato laico esiste ed è probabilmente maggioritario ma ha preferito il voto utile. Tutti noi sapevamo che era difficile ottenere un buon risultato, potendo contare su finanziamenti per la campagna elettorale molto vicini allo zero. Non dimentichiamo che non abbiamo nemmeno potuto contare su una adeguata attenzione dei media. A Roma, alla Camera, il Partito Socialista ha preso lo 0.5, quindi personalmente ho riportato quasi il doppio dei voti, ma - ripeto - il problema vero è che i laici si sono indirizzati contro Alemanno».

E del "voto gay" cosa ne pensa, c'è stato?
«Secondo me si, anzi sotto questo punto di vista questo voto è la mia principale soddisfazione. Dobbiamo innanzitutto tenere a mente che il voto gay non fa grandi numeri. Anche la Rose Liste di Monaco, verso la fine degli anni 80, riuscì ad eleggere un solo consigliere ma che fu comunque importante per mantenere una amministrazione di sinistra al governo della città, che rischiava di andare completamente nelle mani di cristiano democratici banaresi. Esperimenti di questo tipo sono importanti. Dimostrano una capacità di mettersi in gioco, trovando alleanze e tentando anche per conto prorpio. La strategia è quella di candidare gay già nelle strutture partitiche, non del tutto estranei al mondo politico, come nel mio caso essendo dirigente socialista. È probabile che in futuro ci siano liste civiche con forte componente lgbt, ma la condizione è che a guidarle ci siano personalità che siano al tempo stesso leader politici e rappresentanti del movimento glbt».

Cosa pensa del rifiuto opposto da Rutelli all'apparentamento con i Socialisti anche per il ballottaggio?
«Non mi sorprende. Durante l'incontro di sabato sera (19 aprile) Rutelli, personalmente, era disponibile, ma è stato l'apparato del PD che ha frenato. I dirigenti di quel partito pensano che a Roma si vinca corteggiando l'area centrista e cattolica dell'UDC. È un ragionamento sbagliato secondo me, perché l'elettorato di sinistra è demotivato per la scomparsa della loro rappresentanza dal Parlamento, dovrebbero allora puntare al recupero dell'area laica e soprattutto di quella di sinistra».

A questo punto quali indicazioni di voto darete per il 27 e 28 aprile?
«Personalmente non darò indicazioni particolari. Dopo questo rifiuto è inevitabile lasciare che ognuno scelga secondo coscienza. Il partito romano si muoverà come meglio crede».

Quanto l'allarma il raid al Circolo Mario Mieli e quanto inciderà sul secondo turno?
«Ho visitato immediatamente il Circolo dopo l'attacco teppistico e ho definito l'accaduto come un atto gravissimo. L'episodio dovrebbe incentivare al voto l'area di sinistra anche perché è maturato all'interno di una campagna elettorale dove si è teso a giustificare il fascismo soprattutto tra i seguaci di Storace. L'aggressione era chiaramente premeditata e ciò non fa che aumentare ancora di più il senso di insicurezza nella comunità glbt romana. Tutto ciò deve allarmare, ma "purtroppo" il tentato stupro della studentessa africana, evitato dall'intervento della polizia, ha fatto molto più notizia e distolto l'attenzione da questi recrudescenza di violenza omofobica».

Passando a livello nazionale come si spiega il risultato del Partito Socialista? Quali sono stati gli errori commessi?
«I Socialisti si sono trovati in mezzo al guado. Era una sconfitta annunciata e nessuno si faceva illusioni, ma non si può negare che un risultato così basso ci ha un po' sorpreso. Le risorse per la campagna elettorale erano scarse e anche a livello nazionale la visibilità è stata insufficente. Il problema più evidente è stato quello di non essere riusciti a far capire cosa stavamo proponendo: un profilo ed un partito nuovo. La responsabilità è del gruppo dirigente, che giustamente si è dimesso convocando il congresso per giugno o, molto più probabilmente, per l'autunno».

Potendo tornare indietro farebbe un accordo elettorale con il Partito Democratico?
«Del senno di poi, come è noto, sono piene le fosse. Potendo tornare indietro non si doveva far cadere Prodi. Molti sono amaramente pentiti, Mastelal in primis e poi Casini pentito di non aver sostenuto Marini nel suo tentativo di Governo istituzionale».

E come commenta la debacle della Sinistra?
«In campagna elettorale Bertinotti da un lato ha tento di fare un PD di sinistra, dall'altro lato ha fatto il grosso errore di accettare una separazione consensuale. Ha pagato, come noi, l'inganno veltroniano sul pareggio e sulla inesistente clamorosa rimonta. La Sinistra paga l'ambiguità con cui si è proposta agli elettori. Era un progetto incomprensibile, con un profilo identitario incerto che ha favorito lo spostamento dei voti verso la coalizione democratica».

Lei fu uno dei primi deputati dichiaratamente gay ad entrare a Montecitorio, nel 2001, con il governo Berlusconi II. Ora farà il suo ingresso solitario Paola Concia (PD), sempre con un governo Berlusconi. Cosa ha da consigliarle?
«Concia faccia da punto da riferimento per la comunità. Sia interlocutore tra la comunità gay ed il Governo, intervenga personalmente presso i ministri o con le interrogazioni in aula.
Nella scorsa legislatura siamo andati vicinissimi al provvedimento contro l'omofobia, ma la Binetti ha calato la scure bloccando tutto. Ora sarà molto difficile riprendere questo percorso, soprattutto visto l'aumento dei parlamentari ultraclericali. Dal punto di vista legislativo, stando all'opposizione, potrà fare poco, ma potrà impedire che si approvino pessime leggi anti-gay. Comunque, chiaramente le consiglio di ripresentare tutte le proposte di legge a favore dei diritti civili, impegnandosi a farle calendarizzare».

Quali sono gli impegni per il futuro dell'onorevole Grillini?
«Intanto quello di rimettermi in piedi fisicamente, gli ultimi sono stati mesi disperatamente difficili e dispendiosi sotto il profilo psicofisico. Continuerò sicuramente il mio impegno nel campo dei diritti glbt, ma il progetto vero è il rilancio di Gaynews.it e di Gaynet. Voglio rilanciare l'associazione di giornalisti ed operatori dell'informazione gay interessati a massimizzare l'informazione sui diritti civili e sulle tematiche della laicità. Mi piacerebbe inoltre lavorare alla rinascita di una TV gay e lanciare un network radiofonico sempre a tematica gay. Dal punto di vista politico presto tornerò a fare la campagna elettorale per il sindaco di Bologna, che avevo cominciato già prima della candidatura al Campidoglio».

La corsa al Campidoglio. Alemanno-Rutelli, poco fairplay e tante promesse.

(Maria Elena Pistuddi - Tiscali notizie) C'è tutto tranne che il fairplay nell'importante match per la designazione del nuovo inquilino del Campidoglio. Dopo il rissoso faccia a faccia consumatosi negli studi di Ballarò, il candidato del Pd, Francesco Rutelli, e l'avversario del Pdl, Gianni Alemanno, affilano le armi in vista del ballottaggio del 27 e del 28 aprile, spesso sostenuti dai leader di riferimento che, in quanto a diplomazia - vedi Berlusconi che dà del mangiapreti a Rutelli e Fini che lo definisce una salma politica - spesso difettano parecchio. Per fortuna che dopo le invettive arrivano anche le tante promesse pre elettorali. Se saranno mantenute o meno dopo il verdetto non si sa, certo è quelle che hanno visto la luce in questi giorni sono tante

Focus sui trasporti - A parte la sicurezza e il futuro di Alitalia, temi sui quali gli aspiranti alla poltrona di sindaco di Roma hanno forse già "dato" abbastanza, almeno per scaricarsi a vicenda le responsabilità, gli ultimi scampoli della campagna elettorale sono tutti dedicati agli obiettivi "acchiappavoti" più tipici: tra questi vale la pena di spendere due parole sui trasporti. Se Rutelli dichiara: "Il mio grande progetto è prolungare la metropolitana oltre il Grande raccordo anulare, dove è cresciuta la grande citta", Alemanno sembra avere qualche dubbio sulle scelte dell'amministrazione uscente, annunciando la verifica di tutti i nuovi tracciati della metropolitana e "una attenta analisi della proposta alternativa del ricorso a sistemi di trasporto automatici non convenzionali".
E sul problema del traffico - Per fortuna su una cosa i due si trovano d'accordo e cioè che il problema principale della Capitale resta il traffico con l'eccessivo smog e dunque il problema ambientale. Ognuno, ovviamente, propone la sua soluzione, spesso del tutto diversa da quella dell'avversario. Se Rutelli è certo che "cinque miliardi e mezzo bastano per il completamento dell'anello verde di viabilità urbana e per quello delle nuove reti metropolitane" e ricorda che "da qui al 2011, il sindaco di Roma sarà chiamato ad inaugurare circa 40 nuove stazioni" che metteranno a disposizione di Roma "finalmente un network di linee degno di una capitale europea", la soluzione di Alemanno per il traffico è essenzialmente una: un "monitoraggio vero, e l'apertura di una trattativa europea per fare interventi che non siano solo formali".
Rutelli: "Diecimila nuove case" - Tra le promesse del candidato del Pd ce n'è una certamente di grande effetto e riguarda i mutui a favore delle nuove coppie, "una misura necessaria - secondo Rutelli - ora che sono cresciuti i tassi di interesse e gli affitti sono troppo alti". Intervenendo alla Tribuna politica trasmessa da Raitre, annuncia anche: "Faremo diecimila nuove case, appronteremo diecimila nuovi alloggi ad affitto agevolato e seimila alloggi per gli studenti. I primi cantieri potrebbero aprirsi a giugno". Ribadendo l'importanza e la priorità sociale del tema della casa per le giovani coppie, i separati e gli anziani, Rutelli ha ricordato che il Comune di Roma assiste ogni anno trecentomila famiglie ed eroga dodicimila buoni casa. "Tra pochi mesi inoltre - ha ricordato il candidato sindaco del Pd - 750 mila famiglie usufruiranno di una riduzione dell'Ici di circa 150 euro".
L'avversario: "Noi ne costruiremo 25mila" - La ricetta per fronteggiare l'emergenza casa del candidato del Pdl è ancora più allettante: "Costruiremo 25.000 nuovi alloggi, assicura Alemanno, e garantiremo anche affitti a canone agevolato e mutui con diritto di riscatto". "Chi fa stock sulle case sfitte - conclude poi - deve pagare qualche cosa in più, è giusto, è una questione di equità"
Per Alemanno serve anche un nuovo stadio - Una promessa che farà brillare gli occhi ai calciofili è senz'altro quella di Alemanno. "Sono assolutamente favorevole alla costruzione di un nuovo stadio, annuncia, del resto è un tema che ho ripreso e rilanciato nel corso di questi mesi, vogliamo consentirlo alle società sportive, con le adeguate possibilità finanziarie e nell'interesse dei propri tifosi". "Come Comune di Roma - precisa il candidato del Pdl - possiamo trovare e darlo gratuitamente alle società, e non è cosa da poco, le risorse per la costruzione devono essere però private". La partita delle promesse, stadio a parte, è ancora per qualche giorno apertissima.

Sindaco di Roma. Turci, socialisti, "No a sostegno Ps a Rutelli".

(Italpress) "La dichiarazione di un ampio gruppo di socialisti romani a favore di Rutelli per il ballottaggio di domenica prossima non mi trova assolutamente d'accordo". Lo afferma Lanfranco Turci, membro del comitato promotore del Partito Socialista. "Il Pd ha rifiutato l'apparentamento che i Socialisti gli avevano offerto - aggiunge -, senza porre nessuna condizione politica se non quella di riconoscere lo specifico contributo socialista a favore di Rutelli. L'arroganza del Pd e' arrivata al punto di negare ai socialisti il diritto di mettere il loro simbolo a fianco della miriade di altri simboli politici che sosterranno Rutelli. Di fronte a questo atteggiamento il candidato sindaco Grillini e la capolista socialista Daniela Brancati avevano giustamente invitato gli elettori socialisti a votare secondo coscienza. Evidentemente ci sono invece altri dirigenti socialisti che preferiscono gli schiaffi e ringraziano pure. Questa scelta - prosegue l'esponente socialista - esprime una subalternita' nei confronti del Pd che e' piu' grave di quella che ha indotto altri dirigenti socialisti a confluire nel Pd alla vigilia del voto. Il Partito Socialista si appresta ad andare al Congresso dopo la grave sconfitta delle ultime elezioni politiche. Sara' quella l'occasione per un confronto decisivo fra chi ritiene ancora valida l'ipotesi di una autonoma formazione socialista laica liberale, quale abbiamo proposto con l'Assemblea Costituente del luglio scorso, e chi invece pensa che sia venuto il momento di chiudere l'esperienza socialista. Ma in questo caso - conclude Turci - si abbia l'onesta' intellettuale di proporlo con chiarezza e di decidere alla luce del sole insieme a tutti gli iscritti del Partito Socialista".

I dilemmi di Imma Battaglia dopo la scoperta del blog.

Il blog di Imma: Considerazioni post elettorali.

(Di’Gay Project - DGP) Alla fine sono arrivate le elezioni del 13 e 14 Aprile e Berlusconi ha rivinto e noi tutti uomini e donne di Centro-Sinistra e Sinistra abbiamo decisamente perso!

La kermesse elettorale, però, per alcuni/e di noi non è ancora finita; il 27 e 28 Aprile siamo chiamati a votare per il Sindaco di Roma e il Presidente della Provincia di Roma.

Come prima cosa vorrei fare un appello a tutti ad andare a votare e a votare Zingaretti e Rutelli, lo so che il nome di Rutelli per molti è pesante da digerire ma vi assicuro che per le persone glbt e le associazioni glbt di Roma, un centro-destra guidato da Alemanno aprirebbe un periodo molto ma molto pesante.

Voglio però concentrare la mia riflessione su cosa è accaduto a noi, persone e movimento glbt, negli ultimi anni, fino ad arrivare ai risultati di queste ultime elezioni.

Nei quasi 40 anni di storia del movimento glbt siamo cresciuti dentro e a lato della Sinistra, caricando di ideologia le istanze glbt.

Subito dopo l’esplosione del 2000 ci sono stati due fatti importanti: è iniziata la rincorsa alle candidature e l’identificazione delle battaglie del movimento glbt con le unioni civili e le leggi contro le discriminazioni.

Tutto il movimento, guidato dai suoi leader storici, ha scelto la strada del collateralismo anzichè quella dell’indipendenza e del lobbismo.

Collateralismo espresso a fianco dei due grandi partiti della Sinistra i DS da una parte e Rifondazione Comunista dall’altra.

Nell’elezioni del 2001 vince Berlusconi ma il movimento incassa i primi due parlamentari glbt, Grillini (DS) e De Simone (PRC).

Cinque anni di governo all’opposizione tentando di portare attenzione sulla proposta di legge dei Pacs che viene sbandierata da tutti i partiti di Sinistra come opposizione ad un governo che di Unioni Civili non ne vuole neppure sentire parlare.

Così ci si riprepara alla contesa elletrorale del 2006 con l’Unione che media sul tema Unioni Civili e già in campagna elettorale cancella il Pacs a favore di un approccio di diritti alla persona.

Si vincono le elezioni di pochissimo e il movimento incassa anche Wladimir Luxuria in Parlamento a fianco di Grillini e De Simone e Silvestri.

Le aspettative di tutto il movimento sono altissime e la delusione è profonda quando il Pacs viene cancellato a favore dei Dico prima e del CUS dopo che in ogni caso non approdano a nulla per la debolezza della compagine governativa di Prodi che intanto continua divedersi tra un approccio iper moderato (DS e Margherita) e un approccio più laico ma di difficile realizzazione in questo paese (PRC, Verdi, Radicali Comunisti Italiani).

Nel frattempo nel paese incombono la povertà, il precariato, le tasse, gli industriali incazzati, le morti bianche, la “munnezza” di Napoli, Alitalia, gli stupri e gli omicidi di donne da parte di balordi, insomma una scena apocalittica in un panorama mondiale depresso che spostano il centro dei temi politici, economia, sicurezza, stabilità, sviluppo!

Nasce il PD come la nuova proposta politica che unisca definitivamente sotto un programma riformista molte correnti al fine di creare presupposti politici di stabilità. Veltroni viene eletto con le primarie segretario e inizia il processo di costruzione.

Cade il governo Prodi e si ritorna al voto, troppo presto per il progetto di costruzione del PD!

Veltroni immette un grande novità nella scena politica decidendo di correre da solo e costringendo tutti gli altri a seguirlo, PDL e Sinistra Arcobaleno complice anche la legge elettorale.

E la scena glbt? Grillini esce dai DS e si apparenta con Boselli e il Partito Socialista che non accordandosi con il PD rimane isolato e che a 15 giorni dalle elezioni giocano la carta di Grillini candidato a Sindaco di Roma. Quasi tutte le realtà glbt si muovono intorno alla Sinistra Arcobaleno sostenendo fortemente il candidato omosessuale Grillini a Sindaco di Roma.

Tutti corrono a chiedere candidature, Arcigay Nazionale si lamenta insieme a Benedino, perchè non ha abbastanza rappresentanti in lista con il PD, così tutti rincorrono la Sinistra Arcobaleno.

L’unica ad avere successo è Paola Concia che ottiene la candidatura abbastanza sicura in Puglia, lasciando in disparte Benedino. Il risultato elettorale ci consegna una sconfitta clamorosa di tutti, omosessuali compresi, che si trovano a passare da 4 rappresentanti ad una soltanto.

Ma quello che è più preoccupante è il dato di Roma, finalmente una candidatura all’aperto Grillini, leader storico del movimento glbt, per anni Presidente di Arcigay Nazionale e Presidente Onorario due legislature alle spalle, apparizioni continue in TV e Media prende a Roma ben poco, meno delle peggiori aspettative (13620 pari allo 0.82%).

Il voto disgiunto a favore di Grillini è di 2256 voti pari ad una variazione dello 0.19% rispetto al Partito Socialista (in termini relativi = voto disgiunto/voto a grillini sindaco = 2256/13620=16.78% del totale sindaco).

Se confrontiamo il dato di Grillini Sindaco con i dati alla Camera del Partito Socialista a Roma (tot. 9065) abbiamo una differenza di 4555 voti pari allo 0.28% in più.
Ciò vuol dire che la comunità omosessuale "mediatica" (blog, siti, ecc...) e non (associazioni, personaggi noti, ecc...) che hanno appoggiato Grillini hanno spostato lo 0.28% dei voti.

Questa è la conferma che il movimento glbt è incosistente e non rappresentativo politicamente.

A Roma ha circa 2.000.000 di elettori e se le persone glbt rappresentano il 7% circa (a Roma, in quanto metropoli, c’è sicuramente una percentuale maggiore della media nazionale) si tratterebbe di circa 140.000 elettori “glbt”.

A Roma ci sono circa 12 associazioni glbt tra cui Arcigay Roma che dichiara di avere 30.000 iscritti, e lo storico Mario Mieli che ha sostenuto in maniera chiara Grillini e Sinistra Arcobaleno ebbene la domanda è dove sono andati tutti questi voti?

È evidente che nessuna associazione controlla e rappresenta il voto politico delle persone glbt.

Questo è il dato politico che emerge da queste elezioni e che ci vede tutti sconfitti, non è più possibile bluffare sui numeri.

Siamo sempre più soli, sempre più indietro con la meta dei diritti civili sempre più lontana.

Dobbiamo prendere atto che una certa strategia politica di appiattimento sui partiti ha fallito come ha fallito la rappresentanza di figure storiche poltiche e intellettuali del movimento glbt che hanno incitato alla conta come risposta al dilagante centrismo del PD.

Ebbene è l’ora della resa dei conti, o cambiamo o muoriamo, o capiamo che c’è bisogno di un cambiamento sostanziale oppure siamo completamente finiti.

Cambiare vuol dire partire dal rispetto di chi ha vinto e iniziare a creare un ponte con tutti i nostri compagni/e che hanno votato PDL e costruire un gruppo di pressione politica trasversale, in cui siano loro i primi a mettersi in corsa perchè questo Governo accolga le nostre istanze ma anche per costruire la politica del futuro.

È necessario iniziare un percorso di rappresentanza e leadership che individui nuove figure più rappresentative di tutte le persone glbt anche quelle che non hanno mai votato e mai voteranno il Centro Sinistra, dobbiamo costruire un movimento trasversale che tenga presente i nostri oppositori (cattolici) compreso per costruire sul consenso e la mediazione e non sullo scontro ideologico.

Tutto questo deve partire dai Pride con una riflessione importante che deve vedere ogni anno a Roma la presenza di tutta la popolazione compatta sotto le uniche bandiere RAINBOW che sono le nostre bandiere ma senza più schiearamenti ideologici.

Basta con la scelta del Pride Nazionale itinerante, tutti i Pride siano importanti, ma Roma sia l’appuntamento politico “Nazionale” di tutto il movimento, ogni anno.

Quest’anno sarà Bologna per rispetto a degli accordi unitari presi da due anni ma da settembre si cambi musica con la consapevolezza che l’appuntamento di Roma e di Milano del 7 Giugno diventano strategici per tutti noi perchè saranno la prima uscita pubblica di tutto il movimento subito dopo l’insediamento del nuovo Governo Berlusconi, facciamo sì che non si trasformini in scontri ideologici già da subito!

Imma Battaglia
Presidente di Di’Gay Project - DGP

Berlusconi: "Da premier non lavorerò con Rutelli" Silvio attacca. Veltroni: inaccettabile.

Il Cavaliere con Alemanno: "Scopa nuova scopa bene". "L´ex sindaco è un voltagabbana". Da Storace un appello al voto per l´ex amico di partito.
(Giovanni Vitale - La Repubblica) Sarà difficile per Palazzo Chigi collaborare con Francesco Rutelli al Campidoglio. Parola di Silvio Berlusconi. Che, a tre giorni dal ballottaggio, attacca a brutto muso il candidato del centrosinistra, accendendo le polveri di una campagna elettorale ormai considerata la madre di tutte le battaglie. Tanto da mobilitare non solo gli eserciti locali, ma tutti i leader nazionali: Fini, oltre al Cavaliere, per Gianni Alemanno che intanto incassa il sostegno di Storace; Veltroni e D´Alema per il vicepremier.
Al mattino è Berlusconi a partire all´attacco, bollando Rutelli come «un voltagabbana». Gli rimprovera di essere stato amico di Craxi e di averlo poi abbandonato, «un mangiapreti» che però «adesso va a messa anche due volte la domenica». Ecco perché è «ora di spalancare le finestre e introdurre aria nuova», esorta il premier in pectore, «dopo un po´ bisogna cambiare perché "scopa nuova scopa bene"» scherza. Mentre eleggere l´uomo del Pd significherebbe «nessun cambio e le solite amicizie con gli amici degli amici». Da qui la conclusione: «Sarà molto difficile la collaborazione con un sindaco del genere; poi magari ci sarà. Ma con una giunta diversa, con un sindaco diverso, sarà più facile». Gianni è il suo nome, Alemanno il cognome: «Un cane da polpacci» lo definisce il Cavaliere.
Frasi inaccettabili per il segretario democrat che della capitale è stato sindaco sino a due mesi fa: «Berlusconi minaccia di non collaborare con Rutelli. È un atteggiamento istituzionalmente inaccettabile», tuona. «Le istituzioni non hanno colore, esse devono servire i cittadini. La verità è che la coalizione di Berlusconi vuole un sindaco "dipendente" e non chi, come Rutelli, può tutelare con autonomia e indipendenza una città come Roma». Tesi fatta sua da Massimo D´Alema: «È importante che al Campidoglio vada Rutelli. Un sindaco che garantisce l´autonomia della capitale e che ne difenderà il prestigio e gli interessi, anche nella dialettica con il governo nazionale. Mentre l´altro sarebbe più l´emissario dell´esecutivo di destra che non un sindaco capace di difendere i romani». Ma Alemanno non ci sta a farsi dare del sottoposto: «Veltroni non può dire queste sciocchezze», s´infuria, «Roma mi conosce bene e sa quanto sono indipendente». Subito soccorso da Gianfranco Fini: «Rutelli è una salma politica. Un´azione congiunta governo-Campidoglio potrebbe avviare a soluzione i molti problemi della capitale».
Scintille che per tutto il giorno hanno incendiato la polemica. Soprattutto fra big. Parlando prima di Rutelli nel cortile di un caseggiato nel quartiere Prati, D´Alema cannoneggia il presidente di An: «Non vorrei fare la fine di Fini: era un leader, è diventato un intrattenitore». Allusione chiara al comizio del Pdl al Colosseo, quando Berlusconi arrivò con un´ora di ritardo e ringraziò il "delfino" per avergli scaldato la platea. L´ultimo atto del tour elettorale tra il mercato di Trionfale e l´attiguo centro anziani. «Siamo preoccupati che la marea nera travolga anche la città di Roma», arringa la folla il ministro degli Esteri. A maggior ragione dopo l´indicazione di voto pro-Alemanno arrivata ieri dalla Destra e dalla Fiamma Tricolore. «Non un gran guadagno per il mio avversario» chiosa Rutelli, «visto che Storace, nei cinque anni alla Regione Lazio, non ha lasciato rimpianti ma un po´ di inchieste giudiziarie aperte».

giovedì 24 aprile 2008

Pecoraro Scanio, trombato in Parlameno porta a casa 9.000 euro al mese.

(Il Giornale) Trombati? Sì ma con il portafoglio bello gonfio. Ora passa all'incasso tutta la schiera di ex parlamentari che, per essere entrati nel Palazzo, hanno diritto a pensioni e liquidazioni d'oro. Un'inchiesta di Panorama, oggi in edicola, fa le pulci ai prossimi ex membri della «casta»: deputati e senatori non rieletti che tuttavia hanno diritto a buonuscite di tutto rispetto. Tutta colpa di una vecchia norma degli anni Ottanta. Con 20 anni di contributi, a prescindere dall'età dell'onorevole, il Parlamento scuce. Per tutta la vita.
Basta essere stati eletti prima del 2001. Ed ecco cosa viene fuori: ci sono i baby pensionati, quelli cioè che all'anagrafe hanno 50 anni o meno ma ne hanno molti di contribuzione (chi non arriva a venti può sempre riscattare i contributi mancanti ndr). Alfonso Pecoraro Scanio, 49 anni, 5 legislature alle spalle, si porterà a casa 8.836 euro lordi al mese. Interpellato, ha ammesso che «sì, è un privilegio ma lo utilizzerò anche per sostenere il volontariato ambientale». Antonio Martusciello (Fi), di anni ne ha 46, di cui 14 passati in Parlamento.

Potrebbe riscattare i restanti per arrivare a 20 e portarsi a casa per tutta la vita 7.959 euro lordi al mese. Pietro Folena, Prc, di anni di contributi ne ha 25: per lui sono garantiti 8.836 euro al mese. E ancora, tutti sotto i 60 anni di età, avranno il vitalizio di 7.959 euro lordi al mese, tra gli altri, Enrico Boselli (Psi), Oliviero Diliberto (Pdci), Ramon Mantovani (Prc) Maurizio Ronconi (Udc), Enrico Nan (Forza Italia), Fulvia Bandoli (Sd). Un po' meno (6.203 euro) prenderanno Tana de Zulueta (verdi), Salvatore Buglio (Rnp), Gloria Buffo (Sd).
Poi ci sono quelli con la mega liquidazione, che hanno 30 anni di contributi versati e/o riscattabili. Per loro 9.363 euro lordi al mese. Si tratta di Ciriaco De Mita (Rosa bianca), Gerardo Bianco (ex Margherita), Paolo Cirino Pomicino (Dc), Sergio Mattarella (Pd), Vincenzo Visco (Pd), Luciano Violante (Pd) e Valdo Spini (Psi). Il Senato staccherà un assegno di 9.604 euro per Armando Cossutta (Pdci), Egidio Sterpa (Fi), Alfredo Biondi (Fi), Clemente Mastella (Udeur), Willer Bordon (Consumatori) e Edo Ronchi (Pd).
Ma non è finita qui. C'è infatti anche una sorta di trattamento di fine rapporto, che il Senato chiama «assegni di solidarietà». Il tfr di Palazzo Madama e Montecitorio è pari all'80% dello stipendio, moltiplicato per gli anni effettivi di mandato. Una bella sberla, quindi, liquidare Armando Cossutta (Pdci) che si porta a casa 345.744 euro, Clemente Mastella (307.328 euro), Alfredo Biondi (278.516 euro), Angelo Sanza (337.068), Luciano Violante (271.527), Sergio Mattarella e Vincenzo Visco (234.075).

Una montagna di denaro, insomma. Il Senato ha già messo da parte 8 milioni di euro per saldare gli onorevoli. Soldi loro, certo. Ma se in vent'anni un deputato sborsa 241.561 euro e l'aspettativa media di vita è di 78,6 anni, un neopensionato di 50 anni incasserà il vitalizio per 28 anni e mezzo. Gravando sulle casse dello Stato per oltre 2 miliardi di euro.

Cesare Salvi (Sd), alfiere della lotta contro i costi della politica, giura: «Mi sono battuto come un leone per modificare queste norme ma ho constatato un deficit culturale della sinistra su questi temi». E in effetti la riforma del 2007 annulla il riscatto dei contributi; il vitalizio si calcolerà sugli anni effettivi di mandato e le aliquote partiranno dal 20% per una legislatura al 60% per 15 anni e oltre.

Amministrative in Toscana. Ultimi brividi da ballottaggi, Pd-Sinistra uniti a Viareggio dove GayLib appoggia il Pdl.

A Massa il duello per il sindaco esclude la destra, a Pisa in vantaggio Filippeschi.
(Simona Poli - La Repubblica, edizione di Firenze) Ballottaggi da brividi. Domenica e lunedì tornano alle urne i cittadini di Pisa, Viareggio e Massa chiamati ad eleggere i sindaci e, solo a Massa, il presidente della Provincia. La frattura tra Partito democratico e Sinistra, a quindici giorni di distanza dalla vittoria di Berlusconi alle politiche, non si risana. Solo a Viareggio - dove il candidato del centrodestra Luca Lunardini è in vantaggio di oltre 17 punti col 45,7 per cento - Pd e Arcobaleno "fanno pace" e sostengono insieme Andrea Palestini. Martedì sera al Principe di Piemonte una folla generosa di applausi e fischi ha seguito il faccia a faccia organizzato dal Tirreno tra i due aspiranti sindaci. Palestini parte svantaggiato e deve recuperare, per lui ieri si sono mossi il presidente toscano Claudio Martini e il segretario regionale del Pd Andrea Manciulli, mentre stasera alle 18 a parlare accanto a lui in piazza Margherita sarà Piero Fassino. Nella difficile impresa di battere l´urologo Lunardini, il candidato sostenuto al primo turno da Italia dei Valori, Socialisti e Pd può contare sul sostegno dell´Arcobaleno che appoggiava il vicepresidente del Senato Milziade Caprili, che è riuscito a superare il 12 per cento a Viareggio nonostante il crollo della Sinistra. Nessun apparentamento invece con il Laboratorio per la democrazia dell´assessore uscente della giunta Marcucci Cristina Boncompagni, che però assicura a Palestini che farà campagna per lui con l´obiettivo di battere la destra. Lunardini ha chiuso un accordo con le liste civiche Vivere Viareggio, Per Torre del Lago e Viareggio nel cuore che al primo turno hanno ottenuto quasi l´8 per cento. Battaglia all´ultimo voto, quindi.
Meno incerta la situazione a Pisa, dove al primo turno il deputato Pd Marco Filippeschi ha raggiunto il 47,4 contro il 32,4 di Patrizia Tangheroni Paoletti candidata dal centrodestra. Nessun apparentamento con l´Arcobaleno per lui, mentre il Pdl ha ora l´appoggio della lista dell´Udc di Luca Titoni, che al primo turno ha avuto il 3,7, e con la Destra di Sonia Avolio che ha il 2 per cento.
Complicatissima la vicenda di Massa, dove per il Comune si sfidano il sindaco uscente Fabrizio Neri, candidato del Pd, e l´ex sindaco Roberto Pucci, esponente dello stesso partito ma adesso espulso, che è stato appoggiato dalla Sinistra Arcobaleno. Con lui si sono apparentate le liste dell´ex assessore Marco Andreani con il 5 per cento e la Lista comunista di Rinaldo Valenti. Ma la vera incognita restano gli elettori del centrodestra: cosa faranno domenica? Diserteranno in massa le urne oppure sceglieranno di essere l´ago della bilancia della competizione elettorale? E cosa segneranno sulla scheda delle provinciali gli elettori della Sinistra, chiamati a sostenere Pucci al Comune? In Provincia il presidente uscente Osvaldo Angeli, candidato del Pd, ha rifiutato l´offerta di apparentamento avanzata da Narciso Buffoni e dalla Sinistra, che però ha il 13,6 al primo turno. Angeli si è fermato al 41,5 e quei voti gli farebbero molto comodo. Dall´altra parte c´è Sandro Bondi, coordinatore nazionale di Forza Italia ed ex sindaco comunista di Fivizzano, che ha ottenuto il 32,2. Bondi ha l´appoggio della Lega ma non ha voluto fare accordi con la destra ma la destra ha già annunciato che al ballottaggio voterà per lui in ogni caso. Oggi Fassino sarà a Montignoso con Angeli a mezzogiorno e subito dopo al Castello Malaspina. Alle 16 con il candidato sindaco Fabrizio Neri andrà a Forno, luogo di una strage nazista: il 13 giugno del ´44 furono sterminate 68 persone.

mercoledì 23 aprile 2008

Tutti pazzi per la Lega. Soprattutto a sinistra.


(Stefano Di Michele - Il Foglio) C’è voluto niente – oddio, proprio niente no: una disfatta elettorale – per passare, nei più colti cenacoli dopocena, nelle apposite librerie de’ sinistra (Roma chiacchierona) dall’invidia del pene all’invidia – l’ambito è più o meno contiguo – del celodurismo. Se quelli di Bossi non ci stanno attenti, facile ritrovarsi la prossima estate con tutti gli sbandati della Sinistra arcobaleno accampati nel pratone di Pontida, come una volta dalle parti dell’Avana quando si andava a tagliare la canna da zucchero. Perché qui non è solo questione di analisi politologica, dell’abbandono da parte degli operai (non decentemente bilanciato dal concorso delle bertinottiane principesse in lacrime, secondo dettagliato resoconto di Mario D’Urso), dei tre milioni di voti squagliati via che altro che buco dell’ozono, piuttosto il buco nell’arcobaleno. Davvero, ma non è soltanto questo. Ora che tanti rivoluzionari vogliono andare a prendere lezioni da Maroni anziché da Marcos, svernare in Val Brembana piuttosto che nella Selva Lacandona, quello che si coglie è uno scoramento diverso – umano, prima che politico. Lo ha ben raccontato su Repubblica Dario Vergassola, il comico che alla chiusura della campagna elettorale stava sul palco a far compagnia a Bertinotti. Il compagno Vergassola – che pure ha dato alle stampe un libro garbatamente intitolato “Me la darebbe?”: un rivoluzionario ha gli ormoni, ma pure buona educazione – ha spiegato la pena che si vive a sinistra come paccate di analisi socio-politiche non avevano finora fatto. “Quello che invidio ora è la gioia dei leghisti che s’incontrano al bar consapevoli di avere qualcosa in comune, mi ricorda l’animo e il sapore delle feste dell’Unità di trent’anni fa. E’ un entusiasmo che non riesci a smorzare e può essere solo vincente”. Ecco: la straziante sensazione della piadina che si vota alla causa padana, della salsiccia che si fa federalista, delle corna di Vercingetorige che sostituiscono il basco guevarista. Già le ultime feste dell’Unità erano state ribattezzate Democratic party, adesso la tristezza stringe la gola, e costringe ad aspettarsi, come fa sapere Vergassola, di tutto: persino la Casa del popolo che si fa Casa del popolo padano. Tra poco, i leghisti non sapranno più dove accampare gli ex rivoltosi in processione dalle loro parti, gli ammiratori di recente conio, i nuovi cittadini onorari di Gemonio. Lo ha detto a brutto muso, a quelli che insistono con l’antica iconografia, il compagno Francesco Guccini, che ha cantato i tempi belli con l’Unità in tasca (i più arditi) e che ora potrebbe agli ultimi scampoli della Sinistra raccomandare un’altra sua canzone, quella che “non siamo, non siamo, non siamo…”. A Diliberto e soci ha spiegato: “Agli operai, di falce e martello non gliene frega più niente… Anche gli operai della Fiom hanno votato per la Lega”. E così, la famosa avanguardia, presa alla sprovvista e presi pochi voti, si fa intendenza, segue la classe di riferimento ove la classe di riferimento va, non avendo voluto seguire il supposto partito di riferimento. Così, sul modello Lega, è tutto un saggio interrogarsi, da Luca Casarini a Marco Revelli, dal Manifesto a Liberazione. Ma meglio dice, di quel nodo in gola, il più saggio di tutti, il compagno Vergassola: “E’ come quando finisce un amore. E’ ancora presto, devo ancora elaborare il lutto”. Ma con urgenza e senza dibattito, ché altri lutti già si profilano all’orizzonte.

Veltroni e i capigruppo del Pd. La soluzione del rebus sta al Campidoglio.

Il sindaco di Roma e candidato segretario del Pd Walter Veltroni (dx) e la presidente del gruppo dell'Ulivo al Senato, Anna Finocchiaro
(Panorama) La composizione della squadra? Un bel rebus. E non solo per il Cavaliere, prossimo inquilino di Palazzo Chigi. Anche il “principale esponente dello schieramento avverso”, alias Walter Veltroni, è alle prese con il rebus. A chi affidare la guida dei gruppi parlamentari dei Democratici alla Camera e al Senato?

Molto (quasi tutto) dipende dal ballottaggio in Campidoglio. E tante sono le ipotesi e le opinioni che ruotano intorno alla sfida tra Rutelli e Alemanno. Un punto fermo, tuttavia c’è. Anzi, sono due. Il primo riguarda il rapporto tra Pd e Idv, proprio sulla formazione di una compagine unitaria in Parlamento. Il nodo, secondo quanto sintetizza il capogruppo dell’Idv alla Camera, Massimo Donadi che, insieme a Leoluca Orlando ha incontrato al loft Dario Franceschini e Goffredo Bettini, non è ancora stato sciolto. Però, sostiene Donadi, “c’è totale armonia sull’approdo finale che è quello del partito unico”. C’è solo una differenza (non da poco) sui tempi: “O sono tre mesi o sono due anni” dice Donadi “ma di certo faremo il partito unico entro questa legislatura. Il gruppo unico è solo una conseguenza”. Quindi, se non ci sarà immediatamente il gruppo unico, è probabile che ci sia una federazione e un forte coordinamento tra i due gruppi con uno speaker unico in Parlamento per i provvedimenti più importanti.

La differenza la fanno i tempi, anche in casa Pd. In attesa che Di Pietro entri a far parte della pattuglia, ecco l’altro punto fermo a cui è aggrappato il segretario Veltroni: dare una presidenza dei gruppi del Pd di Montecitorio e Palazzo Madama agli ex Ds e una agli ex Dl. Prima di maggio (il 29 aprile si inaugura la XVI Legislatura), il segretario deve mettere a posto gli incastri di quella sorta di “cubo di Rubik” che sono le scelte dei capigruppo, dei loro vice, delle vicepresidenze di Montecitorio e di Palazzo Madama e dei ministri-ombra dell’annunciato “shadow cabinet”. L’ipotesi al momento più accreditata, sempre che Rutelli vinca il ballottaggio a Roma, è che alla Camera resti un popolare e al Senato un diessino. Lo schema potrebbe allora essere Fioroni a Montecitorio e Chiti, Latorre o Morando a Palazzo Madama. Anche se quest’ultimo pare in netto vantaggio rispetto agli altri due.
Sarebbe soprattutto Franco Marini a spingere in questa direzione perché l’attuale seconda carica dello Stato dovrebbe andare a ricoprire il posto di Prodi come presidente del partito e tra i senatori ex-Dl non ci sono le personalità più “rappresentative e forti” di quell’area.

Secondo fonti del loft, il segretario però è tra chi spinge per una “linea di continuità”, ossia riconfermare gli attuali responsabili Antonello Soro (vicino al vice Franceschini) e Anna Finocchiaro (dalemania doc), anche a costo di contravvenire uno dei suoi pallini: il rinnovamento delle poltrone. Cambio che Massimo D’Alema invece vorrebbe. E con queste novità: Pier Luigi Bersani a guidare i 217 deputati a Montecitorio e a Palazzo Madama,a capo dei 118 senatori, l’ex margheritino Luigi Zanda. Con Bersani in campo, anche Piero Fassino potrebbe avanzare una nomina di pari livello, se non in Parlamento almeno nel governo ombra annunciato da Veltroni.

Ecco perché con tutte queste caselle da riempire, con il rischio che spostandone una crolli l’organigramma, a Veltroni, per ora conviene congelare gli incarichi attuali e sperare… Che Rutelli vinca la sfida, che Roma resti del Pd, che lui stesso possa stare saldo in sella alla guida del partito.

Famiglia Cristiana: "Silenzio assordante sulla disfatta del laicismo".

Dopo le ripetute accuse alla chiesa avversaria della modernità. Savino Pezzotta e Pier Ferdinando Casini dell’Udc-Rosa bianca. Il non esaltante risultato elettorale che hanno avuto alle elezioni segnala l’ormai debole peso del voto identitario cattolico.

(Beppe Del Colle - Famiglia Cristiana) La cancellazione della sinistra estrema dal Parlamento in conseguenza del voto del 13/14 aprile, e la contemporanea assunzione della Lega a partito decisivo degli equilibri politici nella nuova legislatura, hanno fornito gli argomenti principali di analisi a tutti gli editorialisti.

Peccato che in tal modo sia però rimasto in ombra un altro argomento: quello del cosiddetto "voto cattolico".

In realtà non sarebbe potuto essere un tema facile per gli analisti, dal momento che la fine della Dc ha suscitato da tempo in quel nostro mondo, a partire dalla gerarchia ecclesiastica, l’idea che i cattolici siano cittadini come gli altri, liberi di votare per chi vogliono, e che la fede non sia dirimente in nessuno degli ambiti più spiccatamente politici, contrassegnati dai naturali interessi di ognuno, fatta salva la fedeltà ai princìpi etici "non negoziabili".

Per questo nessun grande quotidiano ha parlato fin qui del "voto cattolico", con l’eccezione del sociologo Franco Garelli su La Stampa, il quale ha fatto due osservazioni. La prima è che molti cattolici del Nord Italia hanno votato per la Lega, in quanto hanno trovato «nelle visioni e nel linguaggio del Carroccio vari motivi di assonanza e di convergenza», soprattutto sull’«aumento degli immigrati, la crescita dell’islam, la paura dell’impoverimento, la crisi del ceto medio», senza che tutto questo si possa considerare semplicemente "conservatore" o "razzista".

La seconda osservazione di Garelli riguarda il «debole peso del voto identitario cattolico», sia nel non troppo esaltante risultato ottenuto dall’Udc e dalla Rosa bianca, sia nel Partito democratico, che «non è stato in grado di far breccia sui cattolici moderati politicamente incerti o delusi dal modello di Berlusconi». Due osservazioni che portano il sociologo cattolico a dubitare che sia mai possibile, in futuro, la «nascita di un figlio della Balena bianca», una Dc titolare di un nuovo grande progetto politico.

Va aggiunto che almeno una parte dei suffragi ottenuti dall’Udc è venuta da cattolici di Centrosinistra, su cui ha fatto un pessimo effetto l’inserimento nelle liste del Partito democratico di nove esponenti radicali (tutti eletti, dati i posti loro concessi nelle liste); e quei voti possono aver compensato, per il partito di Casini e Pezzotta, quelli usciti dalle sue file per unirsi al Popolo della libertà, al seguito dell’onorevole Giovanardi.

Ma c’è un altro esito elettorale che conosce sulla grande stampa un silenzio ancora più fitto: la scomparsa dalla scena politica, con la disfatta della Sinistra l’Arcobaleno e del Partito socialista di Boselli, del tema principe del laicismo italiano di questi ultimi anni (dal fallito referendum contro la legge sulla procreazione artificiale in poi), e cioè l’attacco alla Chiesa in quanto avversaria della modernità e dei "diritti" dei cittadini, in nome della morale naturale di origine divina.

Il voto espresso dagli italiani non lascia dubbi: a ben pochi di loro quei "diritti" interessano sul serio, come sa chi conosce i motivi di tante coppie di fatto e di aborti, motivi molto poco ideologici e molto più economici e sociali. In Parlamento soltanto i nove radicali eletti con il Pd potranno esercitarsi a chiedere i Dico e tutto il resto (chi nel Pd lo farà, rischierà di mettere in crisi l’unità già non facile del partito).

Sia pure tenendo conto che anche nel programma del Centrodestra vittorioso, come ha notato Francesco D’Agostino su Avvenire, «il riferimento ai temi di rilevanza etica è stato davvero fin troppo contenuto».

Match per il Campidoglio. Sicurezza, Rom e Alitalia: lite Rutelli-Alemanno.

Gianni Alemanno e Francesco Rutelli prima del duello tv a Ballarò | Ansa
(Panorama) L’emergenza sicurezza e la questione Alitalia sono stati i temi centrali del faccia a faccia tra i candidati a sindaco di Roma del centrosinistra Francesco Rutelli e del Pdl Gianni Alemanno nel corso della trasmissione televisiva Ballarò in vista del ballottaggio per le elezioni comunali di domenica e lunedì prossimi.

Non inganni la foto, di rito, sopra: la cordialità fra i due dura solo un attimo: prima che la trasmissione entri nel vivo. Nello studio arroventato dalle luci e dalla tensione, il fair play cede il posto allo scambio dei colpi. Già alla prima domanda, il confronto è serrato, ma senza grande picchi di nervosismo. A prendere la parola, dopo un sorteggio perso, è stato per primo Alemanno che mostrando il quotidiano Il Messaggero ha subito introdotto l’aggressione e la violenza della studentessa del Lesotho avvenuta giovedì scorso e il tema della sicurezza sostenendo che a Roma “ci vuole il cambiamento” perché “queste cose non devono più accadere. A Roma c’è bisogno di una svolta” perché “da 15 anni c’è lo stesso gruppo di potere” alla guida della città, riferendosi agli anni di governo del centrosinistra. Ma Rutelli ha replicato: “il primo ad aver sollevato questo tema è stato l’allora sindaco di Roma Veltroni. Non è un problema del sindaco, ma del Paese. Dobbiamo essere uniti contro questo problema”.

Rutelli ha poi mostrato “il dispositivo di comunicazione” più noto come braccialetto per le donne che tante critiche ha suscitato. E Alemanno ha replicato: “Non mi piace l’idea della sicurezza fai da te. Le ronde e il braccialetto elettronico non mi convincono. La sicurezza è un valore sociale, è un problema dei più deboli. Il paragone con Milano - ha aggiunto replicando a Rutelli - non regge molto. A Roma ci sono 85 campi nomadi, è una realtà impressionante”.

Riferendosi al precedente governo Berlusconi, Alemanno ha sottolineato che “noi abbiamo regolarizzato 640mila persone, che avevamo ereditato dal passato, erano già entrate nel nostro Paese, già lavoravano in nero e sono state prese le impronte digitali”. Il candidato del Pdl ha quindi ricordato che la Romania è entrata in Europa nel gennaio del 2007 quando il Governo Prodi era già in carica. Non sono mancate battute con Rutelli che rivolgendosi ad Alemanno ha detto: “Hai parlato di colonnine SS, hai avuto un lapsus”.
“Dai, dai”, ha replicato Alemanno. E poi è stata volta di Alemanno a prendere in giro Rutelli quando ha apostrofato il suo avversario: “No tesoro…” e lui ha risposto: “Tesoro mai”.

Poi a dominare è stato il tema dell’Alitalia. “Oggi” ha esordito Rutelli “La Padania scrive: ‘La lega vince, Air France vola via’. A chi la volete dare Alitalia? Ai russi? Oggi Alitalia vale meno perché voi, quando eravate al governo, avete fatto non una politica industriale ma una divisione tra Malpensa e Fiumicino che ha portato la compagnia di bandiera vicina al fallimento. Ma dove sta la cordata italiana di cui parlavate?”. “Noi riteniamo che si può costruire una cordata italiana” ha replicato Alemanno che, incalzato da Rutelli, ha ha aggiunto alzando il tono della voce: “Non si può svendere Alitalia. Alitalia, Rutelli, capito? Italia, Italia, Italia”.