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sabato 1 marzo 2008

La tentazione di votare Alemanno, da sinistra.

(Illuminismo) In questi ultimi mesi, la mia anima antifascista lotta contro la razionalità che mi suggerisce a più riprese di votare per Alemanno sindaco di Roma.
Innanzi tutto, diciamo che io non credo nell'astensione, un mezzo non sufficientemente limpido per contare i risultati elettorali. La scelta di Elfo di annullare la scheda mi sembra poco incisiva, perché le schede non vengono classificate in base al modo in cui si annullano. Avrei preferito la restituzione delle tessere elettorali, ma una simile mossa avrebbe funzionato solo a patto di raccogliere un numero significativo di adesioni, diciamo almeno 25.000 (un numero non casuale). Possibile che un movimento di cui fa parte un'associazione come Arcigay, che da sola nominalmente conta centinaia di migliaia di soci, non abbia la forza di condizionare 25.000 voti? Ce l'ha, ma ancora non lo sa. Il movimento LGBT sconta il fatto di essere ignorato da tutti e non si è ancora reso conto delle proprie forze: d'altra parte, in Italia il movimento gay non ha ancora trent'anni, e come tutti gli italiani è ancora un po' giuggiolone.
Dunque, bisognerebbe mostrare che cosa sappiamo fare. Il centrosinistra ha deciso di usare Roma come una pattumiera per vecchi leader senza seguito.
Ha dunque deciso di candidare un vecchio politico rotto ad ogni compromesso, privo di credibilità e inviso al suo stesso partito, sicura degli oltre venti punti di distacco sulla destra, e dopo essersi parata le spalle con trattative segrete sopra la testa degli elettori con la casta della Sinistra Arcobaleno e, pare, del PS. Per finire, Rutelli ha proposto ai movimenti LGBT un contentino: una casa delle culture LGBT, una piccola regalìa elettorale in un ricco bilancio com'è quello della Capitale, praticamente un tozzo di pane. E le associazioni LGBT, come tanti cagnolini affamati, si sono lanciate su questo piccolo tozzo dimentiche di dignità e storia.
Per questo, dunque, penso che sarebbe meglio non solo che vincesse Alemanno, ma che una qualche associazione LGBT decidesse di fare un "patto di desistenza" con il candidato, assicurandogli un pacchetto di voti per fermare una sinistra sempre più arrogante e antidemocratica.
Una maniera per punire l'arroganza dei politici di sinistra, come è già successo a Bologna quando ormai i burocrati del PCI pensavano di poter candidare chiunque e, specularmente, a Verona per i burocrati di destra: le elezioni di Guazzaloca e di Zanotto furono due schiaffi agli apparati, un modo per rimettere in riga i partiti.
Forse anche a Roma sarebbe utile che succedesse una cosa del genere, anche se per me significherà sopportare di veder sventolare la bandiera nera sul Campidoglio.

Il voto dei gay. E alla fine l'Arcigay tira fuori dai cassetti la solita filosofia ammuffita.

Per liberare il nostro amore, la nostra fantasia, la nostra dignità.

(Aurelio Mancuso) Due anni fa l’Unione promise di affrontare, pur con una formulazione involuta e bislacca, la questione del rinoscimento delle coppie di fatto. La nostra critica fu forte e chiara, e non abbiamo cambiato opinione.

Due anni di governo Prodi ci hanno consegnato un bilancio magro, diremmo inesistente, se non fosse per l’azione dei nostri due parlamentari uscenti Franco Grillini e Gianpaolo Silvestri, che hanno fatto un ottimo lavoro e che voglio ringraziare pubblicamente a nome di tutta l’Associazione.

E proprio per questo che il nostro giudizio su quello che è avvenuto nelle aule parlamentari sul riconoscimento delle coppie di fatto e sulle norme anti discriminatorie non può che essere decisamente negativo.

Ancora una volta è andato in scena uno spettacolo umiliante ed offensivo rispetto alla nostra dignità, ai nostri vissuti, alle nostre lunghe e faticose battaglie.

Non sono bastate manifestazioni come il RomaPride2007, sit in, iniziative in tutta Italia, pressioni, partecipazione a tavoli giuridici e tecnici. La politica...

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Veltroni dichiara a El Pais: "Siamo riformisti non di sinistra".

"I cittadini sono cittadini innanzitutto, non di centrodestra".
(Apcom) - Il Partito democratico è riformista, "non di sinistra", e ha chiuso l'alleanza con la sinistra radicale perché "c'erano differenze abissali": ma in caso di pareggio alle urne con Silvio Berlusconi, non ci saranno accordi di governo, ma solo un'apertura per le "riforme istituzionali". E' quanto afferma oggi Walter Veltroni in un'intervista al quotidiano spagnolo di centrosinistra 'El Pais', che lo ha seguito a Perugia per un reportage.

"Siamo riformisti, non di sinistra", dice Veltroni, e aggiunge: "I cittadini sono innanzitutto cittadini: non si svegliano dicendo sono di centrodestra". Il leader del Pd aggiunge che "abbiamo chiuso l'alleanza" con la sinistra arcobaleno "perché le differenze erano abissali in molti campi. Abbiamo avuto il coraggio di dirlo, e ora le cose sono sempre più chiare".

"Se pareggiate o vincete di poco, farete un patto con Berlusconi?", chiede l'intervistatore: "No - risponde Veltroni - riforme istituzionali sì; accordi di governo no". E ricorda la proposta del sistema a doppio turno e per una maggior potere del premier", per "attuare più veloci, ci serve velocità, siamo stati fermi per troppo tempo, sottomessi al potere immenso di partiti che avevano lo 0,6%, come se avessero il 40%".

Il leader del Pd attacca Berlusconi, senza nominarlo: "Il nostro avversario ha governato sette anni e non ha né modernizzato né trasformato il paese. Gli italiani lo sanno. Tutto quello che dice già lo abbiamo sentito". E si dice convinto che " gli italiani sono stufi del passato". Quanto agli omosessuali, Veltroni dice: "Abbiamo proposto una legge che tuteli le sue garanzie e diritti", e "dobbiamo trovare un punto di sintesi, come si fece con la legge sull'aborto che è buona per tutti. Ma non voglio introdurre in campagna temi che dividano gli italiani, faremo una cosa con più sfumature". E sull'incompatibilità, dice di voler fare "una normativa", ma che "non sarà una legge anti-nessuno".

Nell'intervista Veltroni auspica anche la vittoria di José Luis Zapatero nelle elezioni spagnole del prossimo 9 marzo ("ho parlato con José Luis, siamo vecchi amici...l'ho trovato fiducioso e determinato, ha fatto molto bene, l'ho detto in tutt'Italia". E si dice ammirato di come il premier spagnolo abbia difeso il suo predecessore conservatore José Maria Aznar dagli attacchi di Hugo Chavez nel vertice iberoamericano lo scorso novembre.

Bologna. Arcigay fuori dalle liste del Pd. E oggi la riunione del Comitato Centrale dell'organizzazione.

Due ore e mezza non bastano a chiudere il caso Arcigay.
(Il Corriere della Sera, edizione di Bologna) Ore piccole (e intense) per il Partito democratico, impegnato nella chiusura delle liste dei candidati alle elezioni politiche di aprile. Un intero pomeriggio di incontri bilaterali tra i rappresentati delle province e il segretario regionale Salvatore Caronna, accompagnato dal coordinatore esecutivo Tiziano Tagliani e dal coordinatore della fase costituente Marco Lombardelli, non è servito a chiudere facilmente i giochi. E ieri sera, dopo due ore e mezza di riunione, l'esecutivo regionale non era ancora arrivato a chiudere la lista da trasmettere a Roma.

I coordinatori provinciali dell'Emilia-Romagna hanno sfilato per tutta la giornata di ieri davanti al segretario regionale Salvatore Caronna, portando i loro desiderata e fornendo un quadro sulla situazione dei territori. Sessantaquattro (43 in corsa per la Camera, 21 per il Senato) i nomi che verranno fuori dall'Emilia-Romagna. Su alcuni, ormai, tutti sembrano disposti a mettere la mano sul fuoco. Si tratta innanzitutto di otto nomi in quota nazionale: Pierluigi Bersani (capolista alla Camera), Sandra Zampa, Sergio Zavoli, Gian Carlo Sangalli. Poi un Ecodem, una radicale e altri due nomi ancora da sciogliere.

Su Bologna il Pd può contare su sei o sette posti «sicuri» (qualcuno in più in caso di vittoria). Data per scontata la riconferma dei parlamentari uscenti (Antonio La Forgia, Walter Vitali e Donata Lenzi) e considerati ancora in pole i nomi dell'ex coordinatore Dl Gianluca Benamati e di Livia Zaccagnini, tra i nodi più duri da sciogliere durante la riunione di ieri notte c'era quello del presidente onorario Arcigay e consigliere comunale Pd, Sergio Lo Giudice.

L'esclusione di nomi provenienti dalla storica associazione omosessuale è diventata un punto dolente nel rapporto tra la comunità gay e il Pd. E la garanzia di un posto «sicuro» per Lo Giudice, uscito vincente dalle consultazione dei giorni scorsi ma finora collocato in lista in una zona «a rischio», sarebbe un buon viatico per evitare di logorare i rapporti con l'Arcigay e il Cassero, da sempre vicino alla Quercia.

Alle undici di ieri sera il caso Arcigay, nonostante il monito lanciato dal Cassero («la direzione del Pd è sbagliata»), non si era ancora sciolto. E rimanevano in coda, nella cosiddetta «zona grigia» (eletti solo in caso di vittoria del centrosinistra), anche l'ex capogruppo Dl Giovanni Mazzanti e Teresa Marzocchi.

Nonostante le difficoltà, comunque, i vertici del Pd regionale sono certi di riuscire a rispettare i tempi imposti da Roma. Chiudendo la lista da inviare entro oggi, ma riservandosi qualche piccolo margine di manovra nel week-end.