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domenica 17 febbraio 2008

Inchiesta de "L'Espresso". Gli impresentabili che nessuno vuole.

(Francesco Bonazzi e Marco Damilano - L'Espresso) Non c'è primaria o gazebo della libertà che tenga. Con le famigerate liste bloccate del 'Porcellum', ancora una volta avranno l'elezione sicura quelli che non potrebbero mettere facilmente la propria faccia sui manifesti. Un pattuglione di assenteisti, trasformisti, dinosauri, pregiudicati, indagati o, più semplicemente, sputtanati. Ecco il catalogo dei nomi pronti a infilarsi alle spalle dei leader.

BOCCIATI
"Il dado è tratto: Rivoluzione Italiana confluisce nel Popolo delle libertà". Con queste parole, il 9 febbraio, il senatore Paolo Guzzanti ha annunciato ai seguaci del suo blog (Rivoluzione Italiana, 'http://www.paologuzzanti.it/') il fidanzamento con il movimento dell'altra rosso-crinuta Michela Brambilla. Un aggancio che imbarazza la super-nuovista Brambilla, preoccupata dall'effetto muffa dell'ex presidente della Commissione Mitrokhin, simbolo di una stagione tutta bufale e complotti-spazzatura.

La spazzatura vera, invece, è quella che ha distrutto la credibilità di Antonio Bassolino e Alfonso Pecoraro Scanio. Le immagini della maxi-pattumiera napoletana hanno fatto il giro del mondo, ma nessuno dei due politici campani è stato sfiorato dall'idea delle dimissioni. Così, tanto il presidente della Regione quanto l'ex ministro dell'Ambiente sono pronti a regalarsi un nuovo giro in Parlamento.

Stessa scelta per un altro eletto che ha fatto parlare di sé in tutto il globo, il mastelliano Tommaso Barbato. Il filmato della sua tentata aggressione al compagno di partito Nuccio Cusumano, 'colpevole' di non revocare la fiducia a Prodi, spopola ancora su Internet e il suo presunto sputo è un giallo insoluto. Il fotogramma in cui senatori e questori tentano di placcare Barbato è diventato l'ultima pubblicità di Ryanair, sotto lo slogan 'Calma! Calma! C'è posto per tutti'. Barbato compreso. Un comodo seggio senatoriale aspetta anche il sindaco azzurro di Catania Umberto Scapagnini.

L'ex medico di Berlusconi è ansioso di abbandonare la città prima che venga certificato lo stato d'insolvenza del Comune. Mentre il più fido scudiero di Massimo D'Alema, Nicola Latorre, non vede motivi per abbandonare il Palazzo, nonostante le sue telefonate pro-Unipol abbiano sconcertato migliaia di elettori del centrosinistra durante la folle estate delle scalate bancarie.

GIURASSICI
José Luis Rodríguez Zapatero non aveva compiuto tre anni, Barack Obama era nato da appena 20 mesi quando Luigi Ciriaco De Mita entrò per la prima volta alla Camera. Salvo una breve interruzione tra il 1994 e il 1996, non ha più trovato l'uscita. Classe 1928, la stessa di Ernesto Che Guevara, da 45 anni trascina giornalisti e colleghi deputati sottobraccio per il Transatlantico, manco fosse la Selva Lacandona.

Ma guai a fargli notare l'età: "Ieri, per la prima volta, mi sono sentito vecchio", ha confessato al compimento degli ottant'anni. E ora è in corsa per la dodicesima ricandidatura, questa volta nel Pd. Il segretario campano Tino Iannuzzi ha già annunciato di voler chiedere la deroga per il suo maestro politico. Lo stesso vuole fare il segretario provinciale di Avellino: Giuseppe De Mita, il nipote. Sembra un'anomalia, ma non lo è. Spera di rientrare, ancora una volta, il senatore Francesco D'Onofrio, capogruppo dell'Udc.

Una ex giovane promessa: a lanciarlo fu proprio De Mita, un quarto di secolo fa. C'è il neo-Udc Angelo Sanza (ex demitiano, ex cossighiano, ex buttiglioniano, ex berlusconiano), deputato dal 1972, lo stesso anno che vide l'esordio in Parlamento di Giuseppe Pisanu. C'è il forzista Alfredo Biondi, eletto la prima volta nel 1968.

C'è il socialista Valdo Spini, simpaticamente parlamentare da quasi trent'anni, come il verde ex Lotta Continua Marco Boato (salvo un'interruzione negli anni Ottanta) che tenta il ripescaggio nella Cosa rossa. Lì, nell'area della sinistra radicale, si gioca il futuro di un'autentica istituzione come Armando Cossutta e di un veterano delle aule come Cesare Salvi. In fondo, il candidato premier Fausto Bertinotti, imbalsamato nella carica di leader dal 1994, è ormai anche lui un monumento vivente. A se stesso.

LAVATIVI
Giuliano Amato ha già annunciato che non si ricandiderà, a Montecitorio non avvertiranno la differenza: nell'ultima legislatura non l'hanno praticamente mai visto. In 20 mesi e su 4.693 votazioni ha pigiato il pulsante solo 21 volte, lo 0,45 per cento del totale. Certo, da ministro dell'Interno aveva altro da fare e si è fatto mettere in missione nel 97 per cento dei casi.

Ma che dire di altri illustri assenti? Senza giustificazioni, per esempio, risulta il presidente della commissione Attività produttive Daniele Capezzone: infaticabile quando c'è da dichiarare al tg, un forzato dei talk-show televisivi, e dove trova il tempo di partecipare al lavoro legislativo? E infatti si è affacciato in aula per 119 volte, il 2,54 per cento delle votazioni, risultando assente senza scusanti nel 67 per cento dei casi.

Peggio di lui hanno fatto solo i ministri Antonio Di Pietro, Pierluigi Bersani e Alfonso Pecoraro Scanio, che però figurano quasi sempre in missione. A differenza dell'ex segretario Ds Piero Fassino, assente nell'89 per cento dei casi, presente in dieci votazioni su cento, stessa misera performance del collega di Rifondazione Franco Giordano. Deve essere il duro tran tran del capopartito.

Tre big di Forza Italia, Sandro Bondi, Fabrizio Cicchitto e Denis Verdini, non si sono quasi mai fatti vedere a Montecitorio. Bondi ha saltato l'87 per cento delle sedute, Cicchitto l'89. Il toscano Verdini, estenuato da 291 votazioni su 4.693 (il 6 per cento), ha trovato miracolosamente il tempo di mettere la firma su tre proposte di legge e su un'interrogazione: stipendio ben guadagnato. Ma è in ottima compagnia: il deputato Berlusconi Silvio ha mancato il 98,51 per cento delle votazioni. E nessuno lo rimprovererà per questo.

VOLTAGABBANA
"Si sentiva bene il discorso? Avevo la voce ben impostata?", ha chiesto appena finito di parlare. Si cambia schieramento per molte ragioni: per opportunismo, per convenienza, per calcolo. Il senatore-professore Domenico Fisichella l'ha fatto per ben due volte (da destra a sinistra e da sinistra a destra) per un ben più nobile motivo: la vanità.

Quando lasciò An per traslocare nella Margherita era inviperito per la mancata presidenza del Senato che, secondo lui, gli spettava come una laurea, honoris causa. Quando il 24 gennaio ha pugnalato il governo Prodi, provocando la fine della legislatura, ha tenuto a precisare, la voce ben impostata, ci mancherebbe, che lui non era "uno qualunque". Basta sfogliare la sua monumentale produzione bibliografica, 18 volumi, da 'Elogio della monarchia' a 'Le ragioni del torto', tradotti in inglese, francese, spagnolo, ungherese e rumeno.

Ora giura di voler tornare a studiare, ma è disponibile a candidarsi nel Pdl, "se il mio contributo è considerato utile". Lo stesso vale per Lamberto Dini: ma lui, più che utile, si ritiene indispensabile. Pronto a candidarsi con Berlusconi, dopo averlo mollato nel 1995 per fondare un partitino di transfughi dal berlusconismo, tra accuse di tradimento e insulti.

Lo stesso percorso di Clemente Mastella (in comune i due hanno anche una moglie in guai giudiziari): "Resterò nella posizione in cui mi troverò, lealmente, come sempre", garantisce l'ex guardasigilli. I suoi compagni di partito, conoscendone la lealtà, si sono affrettati a cercare posizioni in proprio.

Uno che una candidatura l'ha spuntata è l'ex ministro della Lega Giancarlo Pagliarini: nel '96 fu candidato premier di Umberto Bossi e predicava il secessionismo della Padania, oggi si ritrova con la destra tricolore di Francesco Storace, un bel salto tra gli arditi. Più modesto appare il valzer di Marco Follini, passato in 20 mesi dai pranzi di palazzo Grazioli alle merende nel loft del Pd: l'importante, per lui, è non imbattersi in Casini.

IN FUGA DALLA GIUSTIZIA
Eletto con l'Italia dei valori, passato all'opposizione con il movimento fai-da-te Italiani nel mondo e ora pronto all'ingresso nelle liste del Pdl, il senatore campano Sergio De Gregorio non è soltanto un politico che si muove veloce. È anche un uomo bisognoso di trovare un riparo sicuro da un'inchiesta della Procura antimafia di Napoli che lo vede indagato per riciclaggio e favoreggiamento della camorra.

Non vede l'ora di sbarcare in Senato anche l'udiccino Salvatore Cuffaro, che da presidente della Regione Sicilia si è appena beccato una condanna in primo grado a cinque anni di reclusione. Anche in Calabria andrà in scena il film 'Governatori in fuga', con Agazio Loiero che preferirebbe attendere il suo processo per gli appalti della sanità da uno scranno di Montecitorio. Bisognoso d'immunità varie anche il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa.

Già salvato dalla prescrizione ai tempi di Tangentopoli, quando ammise di aver preso soldi per appalti truccati, ora è indagato a Catanzaro per truffa all'Unione europea e associazione a delinquere. Non mollerà facilmente Palazzo Madama neppure il forzista Luigi Grillo, rinviato a giudizio per aggiotaggio nella vicenda delle scalate Rcs e Bnl. Seggio blindato anche per l'ex governatore pugliese Raffaele Fitto, che sotto Natale è diventato imputato per corruzione e finanziamento illecito.

Un altro ex presidente eccellente, Francesco Storace, dovrà difendersi nel processo Laziogate dall'accusa di 'cospirazione informatica' ai danni della rivale Alessandra Mussolini. L'ex comandante della Finanza, Roberto Speciale, attenderà in Parlamento sotto le bandiere del Pdl l'inchiesta della magistratura per l'uso 'privato' di aerei ed elicotteri delle Fiamme gialle.

Al fianco di Speciale troverà riparo anche la first lady di Ceppaloni Sandra Lonardo Mastella, indagata per tentata concussione. Mentre sotto i colori della Sinistra arcobaleno troveranno usbergo anche i 'disobbedienti' Francesco Caruso e Luca Casarini, per i quali la Procura di Genova ha appena chiesto sei anni al processo per il G8. Caruso ha già sulle spalle una condanna in primo grado a 40 mesi per la violenta 'spesa proletaria' all'Ipercoop di Afragola.

DEFINITIVI
Neppure nella prossima legislatura si assottiglierà il plotone dei condannati in via definitiva. Anzi, sono previsti grandi ritorni. Il leader morale di questi forzati del Parlamento è l'azzurro Marcello Dell'Utri, che ha una condanna passata in giudicato a due anni per frode fiscale e false fatture, mentre ha impugnato in appello una sentenza a nove anni per mafia. Intoccabile anche un altro eroe della prima Fininvest come Massimo Berruti, otto mesi definitivi per favoreggiamento nel processo per le tangenti alla Guardia di finanza.

Riavranno il loro bravo posto in lista anche il democratico Enzo Carra (un anno e quattro mesi per false dichiarazioni al pm nel processo Enimont), l'azzurro Alfredo Vito (due anni patteggiati per corruzione), il berlusconiano Giorgio La Malfa (sei mesi per finanziamento illecito nella vicenda Enimont), il diessino Vincenzo Visco (abuso edilizio) l'azzurro Antonio Del Pennino (due mesi per Enimont, un anno e otto mesi per la metropolitana di Milano), l'eterno dc Paolo Cirino Pomicino (un anno e otto mesi per Enimont e e due mesi per i fondi neri Eni), i forzisti Gianpiero Cantoni (due anni per corruzione e bancarotta), Egidio Sterpa (sei mesi per Enimont) e Antonio Tomassini (tre anni per falso).

Continueranno a scontare con le noie parlamentari una gioventù troppo vivace il radicale Sergio D'Elia (25 anni per banda armata e concorso in omicidio) e i finiani Domenico Nania (condanna per lesioni volontarie) e Marcello De Angelis (cinque anni per banda armata). Mentre si preparano a tornare nel Palazzo, dopo essere stati fermi qualche giro, anche Umberto Bossi (otto mesi per Enimont), l'udiccino Vito Bonsignore (due anni per tentata corruzione) e il socialista Gianni De Michelis (due anni per corruzione e tangente Enimont). Tra sputatori ed ex picchiatori, non sfigureranno neppure loro.

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