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giovedì 17 aprile 2008

Fine del Bosellismo.

(Sergio Sammartino - L'Avanti) Così, alla fine, il “destino cinico e baro” ci è riuscito. Nel prossimo Parlamento non ci sarà più un partito socialista. In verità, personalmente, avevo già parato il colpo. E non solo perché i numeri mi annunciavano da tempo questo esito epocale. E avevo già respirato a fatica quell’atmosfera “marcia del mondo” che macina gruppi e individui che hanno fatto la Storia. Ma anche - e soprattutto - perché da tempo m’ero accorto che nel partito di Boselli, di socialista rimaneva soltanto il nome. Avevo gridato l’allarme - come l’eterna Cassandra che sono sempre stato - nei convegni di partito degli anni Novanta, mentre mi accorgevo che neppure i grandi sopravvissuti del Psi, alla domanda “che cos’è oggi il socialismo?” sapevano dare risposte che potessero soddisfare uno che conoscesse un po’ la storia e la filosofia politica. Altri, intanto, prendevano a vendere - per così dire - il nostro prodotto chiamandolo con nomi differenti. E come spesso accade in commercio, l’imitazione finiva per essere più venduta dell’originale, ormai raro e costoso. Deprimente, in specie, è vedere Boselli che cerca colpe altrui, e accusa Veltroni - al quale invece va riconosciuto il raro merito di aver confezionato una sinistra moderna e governabile anche in Italia - per giustificare la propria débacle. “Quos deus perdere vult dementat”, diceva una volta il parroco. E Boselli non riesce proprio a fare un minimo d’autocritica. La verità è che, innanzitutto, il poverino non aveva proprio lo stampo del leader - diremmo “la faccia” - e con quell’aria da ragioniere di media impresa aveva già serie difficoltà per entusiasmare anche il più esaltato dei fedeli. Per giunta, invece di riscoprire un po’ di sana radice giacobina, moralistica e laburista (di cui in Italia c’è di sicuro ancora bisogno) si è andato ad appiattire proprio su ciò che gli italiani hanno dimostrato di avere in nausea: permissivismi e libertarismi “ulteriori”, conditi con un anticlericalismo ottocentesco, che alla fine hanno ridotto l’immagine del partito alla monomania del matrimonio omosessuale. È appena il caso di notare che mentre gli italiani hanno problemi concretissimi di economia e di incolumità (il desiderio d’ordine e la rabbia contro il buonismo è l’essenza del successo della Lega), il cosiddetto Partito socialista si è andato a impaludare in queste questioni di diritto privatissimo che sono state “sopportate” in Spagna soltanto perché contemporaneamente Zapatero è riuscito ad assicurare una crescita economica senza precedenti. E candidare il presidente onorario dell’Arcigay alla guida del governo non poteva che far fuggire le persone di buon senso, soprattutto se sono in grado di distinguere la storia e la cultura socialista da quella radicale.

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