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lunedì 7 aprile 2008

Storace scatenato: "Berlusconi? consuma scatole di Viagra" "Veltroni? più falso di moneta 110 euro".

(Aldo Cazzullo - Il Corriere della Sera) Campagna all`antica, Latina ovviamente ribattezzata Littoria nel comizio, i manifesti nel baule, i militanti stipati nell`auto del capo che li incita: «Camerati, facciamo fare un bel pezzo di colore al giornalista antifascista, cantiamo: "Duce Duce, chi non saprà morir"». Niente colore. Perché la nostalgia di Francesco Storace non è per il fascismo ma per il Msi: «Noi per Almirante eravamo pronti a morire!» grida ai duemila militanti nel teatro. Perché il risultato della Destra è determinante nell`unica partita davvero aperta di queste elezioni, il premio di maggioranza nel Lazio e nelle regioni del Sud, e quindi la fiducia a Berlusconi al Senato.

E perché la campagna di Storace è un grumo di sentimenti, di dolori talora rancorosi, di amori traditi. «Fini non ha tradito me, ma suo padre. E non in senso metaforico. Il padre di Fini è stato un combattente della Repubblica sociale, uno degli eroi scesi nella battaglia sapendo di perderla, e suo figlio l`ha calpestato. Ora Fini ha detto a Berlusconi che mi vuole morto. Ma il morto è lui. Finita An, lui è uno dei tanti funzionari del Pdl. Anche la sua immagine si è appannata: io sono l`unico leader del centrodestra regolarmente sposato, ma rispetto il dolore di una separazione; Fini però l`ha fatto senza stile, e per mettersi con l`ex donna di Gaucci...».

Storace, con Fini eravate amici fraterni. «E' vero. Fino a quando io non vinsi nel Lazio, nel 2000. Lui, contro Rutelli aveva perso. Non mi perdonò di voler fare il presidente della Regione a modo mio, senza favori di sottogoverno, senza obbedire. Me la ricordo, Daniela Fini, quando insisteva per quel laboratorio di analisi al Tuscolano... Solo dopo ho scoperto che era suo, della moglie, e anche del fratello, della cognata, del portaborse. Ora Fini fa il pulitino, dice che non sapeva nulla... non scherziamo. E poi si è messo al fianco quell`Andrea Ronchi, che ha sparso zizzania tra lui e me, e anche con gli altri dirigenti...».

Ovunque, a Formia, a Ceprano, a Ferentino («un comizio alle 11 di sera? Ma non ci saranno solo le nigeriane?»), Storace trova piazze piene. E la destra profonda, che non sempre ha accettato la fusione tra An e Berlusconi. «Eppure dicevano che mi pagava lui, il Cavaliere. Una persona poco seria. E simpatico, consuma scatole di Viagra, è amato, ma è un uomo senza valori. Lo ricordo, quando mi disse: «Questi di Rifondazione sono matti, capaci di far cadere il governo per i loro principi». Gli risposi: embé? Ma lui è così, non concepisce che si possa essere mossi da altro che dal tornaconto personale. Se saremo al Senato, non gli voteremo la fiducia. E Silvio non ha umiliato solo noi; ha tradito prima Mastella, che gli aveva portato la testa di Prodi, e poi Casini, che gli aveva dato quella di Marini. Il primo governo Berlusconi della legislatura cadrà presto, per il referendum elettorale e per i ricatti interni. Noi sosterremo il secondo governo Berlusconi, quello del centrodestra riunito e del Fini definitivamente neutralizzato».

A Latina, al comizio tonitruante che comincia con «Buona destra» e finisce con «se son fiamme bruceranno», ci sono in prima fila parecchi transfughi di An e Ajmone Finestra, ex sindaco visto anche accanto a Ciarrapico. «Al Ciarra - racconta Storace - ho detto che non l`hanno trattato molto bene: è in lista dietro a persone che lo odiano, rischia di non essere eletto, di risultare patetico. Mi sa che alla fine non resiste e vota Fiamma pure lui. Di sicuro ci vota donna Assunta. Non lo dice, ma mi sta mandando una marea di gente». La Mussolini? «Mi chiese un incontro. La feci venire nel mio ufficio di senatore. Mi propose di scordare il passato e di allearci. Presi tempo. Pochi giorni dopo era al corteo di An, a vomitare contro di me».

La nuova Madonna nera è la Santanché. «Candidarla premier è stato un colpo di genio. Lo schema è lo stesso di Pannella con la Bonino: in vetrina la donna, e Daniela è la numero uno d`Italia; dietro le quinte il capo politico, che non ha bisogno dei gradi per comandare. Non vorrei un ministero. Piuttosto, l`Antimafia. O, meglio, tornare alla Vigilanza Rai».

Alemanno, suo ex compagno di corrente, ora come lei candidato a sindaco di Roma? «Che delusione. Io non avrei mai fatto il killer per conto terzi contro Alemanno. Avrei capito Gasparri, non lui. La città è piena dei suoi manifesti. All`evidenza, dopo che l`opposizione ha lasciato approvare in due giorni il piano regolatore, i soldi da qualche parte sono arrivati». E gli avversari di sinistra? «D`Alema è come appare. Veltroni invece è più falso di una banconota da 110 euro. Peggio di Fini, che è inoffensivo; Veltroni è spietato. Gli preferisco Rutelli, che a Roma è una minestra riscaldata ma se si fosse candidato a Palazzo Chigi avrebbe vinto».

L`orgia di asce bipenni e motti fascisti di Casa Pound, occupata dai ragazzi di destra che ospitano in cortile le ambulanze della Protezione Civile, lo lascia indifferente. Non la sezione di Gaeta, dove lo attendono il ritratto e le quattro figlie di Nino Gelso, «il nostro grande camerata imbarcato sulla X Mas!», come lo ricorda la leader locale. Storace si commuove. «Camerata lo diciamo solo dei caduti. L`unico busto del Duce che ho mai tenuto in casa me lo regalò uno dei nostri vecchi, dopo Fiuggi. Quella svolta l`avevano accettata: basta che ci rispettiate, dicevano. Questa, no. Ho capito che me ne sarei dovuto andare dopo il viaggio di Fini a Gerusalemme. Io sono stato al museo dell`Olocausto prima di lui, ma senza telecamere e senza offendere la storia. Io so che non la pensa così: in pubblico siamo sempre stati attentissimi a non far trasparire nulla, ma in privato era diverso.

Quando Le Pen andò al ballottaggio, Fini era ringalluzzito: «France`, hai visto? Gajardo!». Ricordo un comizio ad Alcamo. Il presidente del circolo di An, ex segretario del Msi, ex gerarca, lo fa salire sul balcone. Fini era imbarazzatissimo, e quello attacca: «Da questo balcone, tanto tempo fa parlò un altro grande, l`Uomo che fece l`Italia...», lui sempre più pallido, ma il gerarca a sorpresa fa: «Sto parlando del nostro eroe, di Giuseppe Garibaldi!». Per il sollievo, a Fini scappò un «minchia» che fece ridere tutta la piazza. Ma questa gliela racconterebbe meglio Gianfranco...». E dagli occhi di nuovo lucidi si intuisce qual è la vera nostalgia di Storace.

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