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mercoledì 23 aprile 2008

Veltroni e i capigruppo del Pd. La soluzione del rebus sta al Campidoglio.

Il sindaco di Roma e candidato segretario del Pd Walter Veltroni (dx) e la presidente del gruppo dell'Ulivo al Senato, Anna Finocchiaro
(Panorama) La composizione della squadra? Un bel rebus. E non solo per il Cavaliere, prossimo inquilino di Palazzo Chigi. Anche il “principale esponente dello schieramento avverso”, alias Walter Veltroni, è alle prese con il rebus. A chi affidare la guida dei gruppi parlamentari dei Democratici alla Camera e al Senato?

Molto (quasi tutto) dipende dal ballottaggio in Campidoglio. E tante sono le ipotesi e le opinioni che ruotano intorno alla sfida tra Rutelli e Alemanno. Un punto fermo, tuttavia c’è. Anzi, sono due. Il primo riguarda il rapporto tra Pd e Idv, proprio sulla formazione di una compagine unitaria in Parlamento. Il nodo, secondo quanto sintetizza il capogruppo dell’Idv alla Camera, Massimo Donadi che, insieme a Leoluca Orlando ha incontrato al loft Dario Franceschini e Goffredo Bettini, non è ancora stato sciolto. Però, sostiene Donadi, “c’è totale armonia sull’approdo finale che è quello del partito unico”. C’è solo una differenza (non da poco) sui tempi: “O sono tre mesi o sono due anni” dice Donadi “ma di certo faremo il partito unico entro questa legislatura. Il gruppo unico è solo una conseguenza”. Quindi, se non ci sarà immediatamente il gruppo unico, è probabile che ci sia una federazione e un forte coordinamento tra i due gruppi con uno speaker unico in Parlamento per i provvedimenti più importanti.

La differenza la fanno i tempi, anche in casa Pd. In attesa che Di Pietro entri a far parte della pattuglia, ecco l’altro punto fermo a cui è aggrappato il segretario Veltroni: dare una presidenza dei gruppi del Pd di Montecitorio e Palazzo Madama agli ex Ds e una agli ex Dl. Prima di maggio (il 29 aprile si inaugura la XVI Legislatura), il segretario deve mettere a posto gli incastri di quella sorta di “cubo di Rubik” che sono le scelte dei capigruppo, dei loro vice, delle vicepresidenze di Montecitorio e di Palazzo Madama e dei ministri-ombra dell’annunciato “shadow cabinet”. L’ipotesi al momento più accreditata, sempre che Rutelli vinca il ballottaggio a Roma, è che alla Camera resti un popolare e al Senato un diessino. Lo schema potrebbe allora essere Fioroni a Montecitorio e Chiti, Latorre o Morando a Palazzo Madama. Anche se quest’ultimo pare in netto vantaggio rispetto agli altri due.
Sarebbe soprattutto Franco Marini a spingere in questa direzione perché l’attuale seconda carica dello Stato dovrebbe andare a ricoprire il posto di Prodi come presidente del partito e tra i senatori ex-Dl non ci sono le personalità più “rappresentative e forti” di quell’area.

Secondo fonti del loft, il segretario però è tra chi spinge per una “linea di continuità”, ossia riconfermare gli attuali responsabili Antonello Soro (vicino al vice Franceschini) e Anna Finocchiaro (dalemania doc), anche a costo di contravvenire uno dei suoi pallini: il rinnovamento delle poltrone. Cambio che Massimo D’Alema invece vorrebbe. E con queste novità: Pier Luigi Bersani a guidare i 217 deputati a Montecitorio e a Palazzo Madama,a capo dei 118 senatori, l’ex margheritino Luigi Zanda. Con Bersani in campo, anche Piero Fassino potrebbe avanzare una nomina di pari livello, se non in Parlamento almeno nel governo ombra annunciato da Veltroni.

Ecco perché con tutte queste caselle da riempire, con il rischio che spostandone una crolli l’organigramma, a Veltroni, per ora conviene congelare gli incarichi attuali e sperare… Che Rutelli vinca la sfida, che Roma resti del Pd, che lui stesso possa stare saldo in sella alla guida del partito.

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