E allora c’è chi si domanda: “Ma è questo il Psi di Enrico Boselli?” E poi: come mai l’uomo mite, dal tono sempre pacato ed educato, sta subendo una trasformazione simile a quella di Gianni Morandi, ridisegnato da Fiorello a VivaRadio2 come “cattivo”? Come è successo che Boselli sia diventato un politico dal linguaggio spregiudicato, simile più ad un agit-prop di lunga fede comunista che a un nipotino di Filippo Turati?
Ma no, nessun cambiamento di carattere. Nessuno strascico della (brevissima) esperienza insieme a Marco Pannella e alle battaglie radicali, durante la fondazione della Rosa nel pugno (2,6 alla Camera e 2,5 in Senato, alla scorse elezioni), ormai del resto del tutto appassita.
Semplicemente: il Psi ha fatto di necessità virtù. E dopo aver ricevuto la porta in faccia dal Partito democratico, si è visto costretto a cambiare strategia e, con lui, Boselli. Così del giovane e timidissimo bolognese, ritrovatosi a 33 anni a guidare la regione più rossa d’Italia (l’Emilia Romagna) non è rimasto così più nulla.
Anche perché il diktat di strateghi e guru della comunicazione è stato chiaro: profilo libertario e agguerrito contro i due maggiori candidati. Non è un caso che il debutto socialista del 2 marzo, avvenuto nella celeberrima Sala Sivori di Genova dove più di un secolo fa si fondò il partito dei lavoratori, ha segnato il punto di non ritorno. Boselli ha messo subito le mani avanti: “Oggi non parlo, non apro la campagna elettorale dei socialisti. Oggi è una giornata di lutto per Genova e per gli operai italiani. Per questo dedichiamo idealmente il nostro inizio a tutti gli operai morti nel porto e agli oltre cinquemila morti sul lavoro degli ultimi quattro anni”.
Da lì in avanti è stata tutta una strategia d’attacco. È partito con Veltroni: “Raccontare agli italiani che non è mai stata comunista è una bugia e anche un errore. Il nuovo non passa cancellando la storia di ciascuno di noi. Quella è la fiction televisiva, non il nuovo”. Ha continuato con Giuliano Ferrara e la sua lista “Pro life”: “Dobbiamo spiegare agli italiani che la legge 194 non ha introdotto l’ aborto in Italia ma ha combattuto e sconfitto l’ aborto clandestino”. Per concludere con gli ex-alleati radicali: “Anche io mi domando chi vincerà tra Binetti e Bonino. Per ora vince la prima e in tutta Europa ci sono diritti civili che in Italia non sono garantiti”.
Da ultimo, ha pensato anche di candidare Clemente Mastella tra le fila dei socialisti, dopo l’archiviazione della sua indagine nell’inchiesta Why Not : “gli offro di essere capolista completamente indipendente del Senato in Campania. Comprendo il suo stato d’animo, ma mi auguro che Clemente abbia la forza di combattere anche questa battaglia”.
Un crescendo degno del miglior Rossini, che ha comunque trovato il punto coreograficamente più alto nella puntata di giovedì sera di Porta a Porta.
Boselli ha lasciato di stucco tutti, Bruno Vespa compreso, abbandonando la trasmissione a telecamere accese. E, una volta detto che “questa è una campagna che si svolge con regole truccate”, ha espresso “ai telespettatori la mia protesta”, disertando quella che molti considerano “la terza Camera della politica”.
Quanto a varcare la soglia delle prime due (Montecitorio e Palazzo Madama), si vedrà. Certo è che, secondo i più autorevoli spin doctor, le uniche speranze per riuscirci, per Boselli e i socialisti, sono ormai affidate a questo tipo di intemerate.
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