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domenica 9 marzo 2008

Musica anni ’80, balli, gadget, vessilli. E contro l’effetto-Prodi il silviodanaio.

(Il Giornale) «Prende i mezzi», per dirla alla milanese, il popolo della libertà. «Mezzi» nel senso di tram, autobus e metropolitana. Autisti? Ma dove sono? Limousine? E chi le ha mai viste? Invece è proprio e soprattutto da lì, dal buio ventre sotterraneo della stazione Mm Romolo Lotto, linea rossa del metrò ambrosiano, tra gli acri odori di sigarette spente in fretta e quelli iper-vanigliati e stucchevoli delle brioche industriali vendute nei bar sotterranei e privi di grazia, che a partire dalle 9 del mattino di ieri a riaffiorare in superficie è un fiume umano in piena. Sempre più gonfio, sempre più vicino a tracimare.
E non sono volti confindustriali, né tantomeno da Federmeccanica, quelli che escono a rivedere il sole pallido e malato di Milano. Sono volti giovani con un mutuo sanguinoso, volti anziani da pensione ingenerosa, volti di ogni età da quarta settimana in apnea, da michetta che costa come l’oro, da pieno di «verde» che non ci puoi rinunciare, perché lavorare si deve, ma che è un salasso ogni giorno di più. Per non dire dell’Ecopass, sciura Moratti, che il diavolo si porti via anche quello...
Vengono in superficie, quelli del Popolo della libertà, e si infilano sotto le volte del Palalido dopo aver acquistato la loro bandiera da sventolare - 2mila pezzi «bruciati» in un attimo - e dato un’occhiata al gadget presentato dal designer e creativo Alberto Barillaro. È il Silviodanaio, un raccogli-risparmi di foggia antica, color del coccio proprio come quelli del passato, ma stampato in plastica riciclata e con tanto di sorriso candido del Cavaliere in coincidenza con la fessura dove devi infilare gli spiccioli.
Ed è per davvero un popolo vario e variopinto, molto più di quello che ti aspetti. Un popolo dove puoi veder scorrere le lacrime commosse e nostalgiche della signora Rachele Santagostino, di Casorate Primo (Pavia), che rimpiange il suo vecchio simbolo, quello di An, sacrificato sull’altare della causa comune. «Sto soffrendo perché mi manca tanto la mia fiammella tricolore. Ma forse è giusto così, è nell’ottica dei giovani, anche se io, adesso, a settant’anni, mi ritrovo con il magone», confessa. È un popolo dove spuntano senza sollevare proteste, al massimo qualche sorriso, anche le bandiere del GayLib, il movimento dei gay liberali di centrodestra, che per bocca del loro presidente Enrico Oliari chiedono il riconoscimento «dell’unione omoaffettiva nel programma del Pdl, perché anche questa è una libertà del popolo, come dimostrano del resto analoghe battaglie delle destre in tutta Europa e perfino tra i repubblicani negli States».

Comunque sono lì tutti per vedere «il Silvio», magari sognando di stringergli la mano, di certo per gridargli che sono ancora una volta con lui. E una volta dentro, sotto quelle vetrate ad arco oggi impolverate, ma che un tempo sono state anche moderne, è la torcida azzurra, il Maracanà della fede politica, ’o Vesuvio dei sentimenti repressi che finalmente eruttano lapilli, un mix rovente dove si mescolano rabbia antiprodiana e amore totale. «Silvio, Bergamo è con te», promette uno striscione sull’anello più alto; «Missaglia c’è e non vota comunista», garantisce quello accanto; «Noi non siamo bamboccioni», affermano a caratteri cubitali quelli di Azione giovani; «Clonate Silvio», sintetizza a pennarello blu, su un lenzuolo bianco, un anonimo con il raro dono della concisione.
Da una piattaforma in alto, en attendant il Cavaliere, è il complesso degli Oxxxa, quattro grilli canterini carichi di gommina, a riempire l’attesa. Per la gioia dei GayLab attaccano con le note di Ymca dei Village People; passano dai Ricchi e Poveri - «Che confusione...», accennano; «sarà perché ti amo...», risponde il pubblico - e proseguono con Balla balla, parole e musica di Umberto Balsamo, correva l’anno 1979. Musica da non star fermi. Ancheggia sugli spalti, sventolando il suo mega-tricolore, un’ex ragazza bionda. Corre sudato e felice, senza sosta, un ragazzone cinquantenne che di bandiere ne ha addirittura due. Posano in favore delle telecamere i giovani (veri, loro) giunti da Mantova indossando magliette stampate per l’occasione. Due le versioni, a seconda del sesso: «Siam felici, siam contente per Silvio Presidente», dicono in rima le femmine; «Tutti pazzi per Silvio», ribattono in prosa asciutta i maschietti.
Ma sono loro, Luisa Tonarelli e Ada Lama, miss di mezz’età dalla bresciana Leno, le più scatenate. Esibiscono un calendario autoprodotto dove appaiono avvolte nella bandiera di Forza Italia da cui spuntano due spalle nude e galeotte. E tengono ben alto un cartello: «Silvio, sei il nostro santo. Vai che noi ti seguiamo». Tutta roba che la sinistra se la sogna.

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