(Marina Corradi - Circolo La Pira) Dopo il vertice del Pd, l’ex ministro Gentiloni sintetizza l’analisi del voto: «Non abbiamo intercettato il consenso del Nord perché è prevalso un sentimento diffuso di risentimento soprattutto nei confronti dei provvedimenti del governo, che non sono stati capiti». Dove ciò che colpisce, e che d’altronde ricorre con qualche variante come un leit motiv nei commenti politici, è che quelli che «non hanno capito» sono sempre gli elettori. Non hanno capito Prodi, e nemmeno Veltroni; o, lamenta la Sinistra Arcobaleno, «ci hanno interpretati come un residuato ». Errori di 'interpretazione', equivoci, misunderstanding, per la sinistra sconfitta stanno tutti dalla parte degli elettori. Che, pare di comprendere, in certe valli e città del Nord – e anche del Sud – devono essere un po’ ottusi.
O peggio. Le lettere su 'Repubblica', trasudano amarezza. «Accorgersi che l’ignoranza è il più letale dei mali, e che in Italia abbonda, e che l’Italia ha trovato qualcosa di più divertente da fare che onorare i valori della Resistenza», geme una lettrice. «Mi aspettavo più coscienza. Credo che tutti abbiano votato chi prometteva più furberie, più scappatoie», scrive un’altra. Come a dire che la maggioranza degli italiani si è rivelata, il 13 aprile, ignorante, incosciente, fascista e furbetta. La supponenza di essere – cultura e politica della sinistra – superiore, per definizione e per sempre. A fronte di ciò, il pessimo risveglio davanti alla vittoria di Berlusconi, e all’esplosione addirittura della Lega. Incredibile. Nei giornali giusti, fra le grandi firme, non se ne era avuto sentore. Anzi: Eugenio Scalfari, grande maestro del giornalismo democratico e corretto, aveva annunciato un suo presentimento: «Con avversari di questo livello non si può perdere.
Gli elettori cominciano a capirlo. Io sono pronto a scommetterci». Intanto, gli elettori andavano convincendosi esattamente del contrario.
Le maggiori testate italiane da molto tempo sono ispirate da un pensiero pressoché unico. È un fatto anche generazionale: buona parte degli uomini e delle donne che oggi dirigono questi giornali o ne firmano i commenti più autorevoli, si sono formati negli anni Settanta. Magari poi da quella cultura hanno preso le distanze, ma ne mantengono un imprinting indelebile: sinistra è bello, democratico, giusto. Destra, è fascista e ignorante. Cattolico poi è, ovviamente, oscurantista – a meno che non sia cattolico 'democratico' e progressista, meglio ancora se in conflitto con le gerarchie della Chiesa.
Questo spiega lo sbalordimento collettivo dopo il referendum sulla legge 40. E anche un po’ quello di oggi, quando si scopre che in certi paesi veneti o lombardi han preso il 20, 30, anche 40% quegli 'zotici' della Lega. Che sono sempre stati considerati – ammette 'l’Unità' – «commercianti in odore di evasione, valligiani spaesati, capitalisti molecolari terrorizzati dalla globalizzazione». Ma che devono essersi allargati, se han preso il 10% a Sesto San Giovanni, la ex Stalingrado d’Italia. E che, se pure a guardarli dai salotti corretti sono dei poveri selvaggi, tuttavia devono avere delle ragioni che non sono state comprese. Un’informazione allineata sulle sue certezze ideologiche non aiuta a capire la realtà. Serve piuttosto a confortare, in uno specchio autoreferenziale, la classe politica cui fa riferimento. Che a sua volta vuol credere che gli editoriali di Scalfari siano il pensiero degli italiani. Lunedì sera ci è venuta in mente la Conferenza nazionale sulla famiglia promossa dal governo Prodi, a Firenze, un anno fa. «Question time con le domande delle famiglie», fu annunciato. Ma non era che uno si alzava, e domandava al premier ciò che voleva. Gli interventi e le domande erano stati preventivamente preparati. Un garbato dibattito fra amici. Nessuno in aperto dissenso.
Poi, le famiglie italiane sono andate a votare.
giovedì 17 aprile 2008
Quel vizio antico di ritenersi i migliori.
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L’eredità di Walter Veltroni
Antonello De Pierro, presidente di Italia dei Diritti, esprime la sua gratitudine a Veltroni per quello che è stato fatto nella capitale durante i suoi due mandati.
14/02/2008 - Roma – “Pur se inevitabili, queste dimissioni mi rattristano e commuovono. Roma perde un grande sindaco, che mi auguro possa trasferire il modello vincente della capitale su scala nazionale, per risollevare le sorti di un paese che affonda negli abissi di un declino senza precedenti”. Queste le dichiarazioni del presidente del movimento nazionale Italia dei Diritti Antonello De Pierro sull’ultimo giorno da sindaco di Walter Veltroni.
Ieri, a metà giornata, Veltroni è entrato nell’aula Giulio Cesare e davanti al consiglio comunale ha presentato le proprie dimissioni, ricordando in modo commosso i suoi sette anni di governo romano, e passando in rassegna i fatti salienti, dallo scoppio della palazzina di via Ventotene all’omicidio di Giovanna Reggiani, passando per i funerali di Alberto Sordi, e per le migliaia di mani strette, persone incontrate, decisioni prese.
La giornata si è conclusa con la partecipazione di Veltroni alla puntata di “Porta a porta” che lo ha visto protagonista e che ha dato definitivamente inizio alla sua campagna elettorale.
“Ho avuto modo di apprezzare Veltroni in più di un occasione” continua De Pierro, “ma in particolare mi sono nutrito al banco della sua sensibilità umana e civile in occasione di un incontro - conferenza durante la campagna del suo primo mandato. Temo che difficilmente assisteremo in futuro ad un ciclo amministrativo così felice e proficuo per la città”.
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