(Giovanni Dall'Orto) Finalmente abbiamo perso. Adesso si può tornare a fare politica.
Non ne potevo più di votare a sinistra per avere al governo una sinistra che votava per gli sgravi fiscali ai ricchi senza l'eliminazione del fiscal drag ai meno ricchi, che non faceva leggi contro il conflitto d'interessi, che moltiplicava le missioni militari all'estero, che incentivava la precarietà, e tutto il resto del programma tipico delle destre. E che soprattutto, unendo la beffa al danno, non era neppure capace di darci almeno il contentino di quelle riforme nel campo della vita privata che sono ormai la norma in tutto il resto d'Europa.
Perché se si guarda la politica sociale del tanto demonizzato Zapatero, ci si accorge del fatto che anche lui ha votato leggi sulla precarizzazione, anche lui ha mandato missioni militari all'estero, anche lui fa parte del Washington consensus... Ma almeno, in cambio, ha dato al suo elettorato leggi avanzate sui diritti delle donne, dei gay, sulle pari opportunità, insomma ha "fatto qualcosa di sinistra" almeno in quelle aree su cui i poteri forti della globalizzazione sono neutrali. Ottenendone, in cambio, la riconferma.
In Italia, invece, niente: neppure questo. Ma allora a che (e a chi) serviva avere la sinistra al governo?
Quando l'onorevole Vladimir Luxuria ha votato a favore dell'esenzione dall'Ici per la Chiesa cattolica, mi sono chiesto che senso avesse votarla, questa sinistra, e a che servano gli eletti lgbt se poi votano in questo modo.
E a quanto pare se lo sono chiesto anche milioni di altri elettori... Il risultato lo abbiamo visto.
Meglio così, e non sto ironizzando. Perché per avere una sinistra parlamentare che fa politica in questo modo, tanto vale non averla. Almeno così si esce dall'errore che fa pensare a molti, specie ai più giovani, che la politica sia quella cosa che si fa in Parlamento, e che ci chiede un impegno una volta ogni cinque anni e poi più.
Ma la politica, come dice il suo nome (da polis, "la città") è tutto quanto riguarda la vita dei cittadini. Anche se a molti non piace ammetterlo, la politica si fa tutti i giorni. Quando si sceglie di pagare senza ricevuta fiscale si è fatta una scelta politica. Quando si cerca un posto di lavoro con una raccomandazione si è fatta politica. E quando non ci si ribella se sono altri a fare queste cose, si fa politica. Lo ripeto: non si vota una volta ogni cinque anni, si vota tutti i giorni.
La destra non lo ha mai dimenticato (le destre sono in campagna elettorale permanente), la sinistra un tempo lo ha saputo, ma aveva trovato comodo dimenticarlo. Ed è stata punita: la realtà ha il vizio di ricaderti in testa come un mattone, se la getti via.
Meglio così. Si ricordano più i ceffoni delle carezze.
Alcuni commentatori "moderati" ieri hanno gioito perché questo è il primo Parlamento italiano dal quale, dopo un secolo, sono "finalmente" assenti socialisti e comunisti di qualsiasi sorta. A dire il vero la cosa è inesatta, dato che sotto Benito Mussolini questa felice situazione si era già verificata... (ma solo per vedere, dopo questa "felice" pausa, la più forte presenza parlamentare comunista del mondo occidentale). Ma anche se non fosse come dico, resta il fatto che è un errore credere che questo sia un avvenimento positivo per le destre, perché non è vero che la politica si fa in Parlamento. In Parlamento si approvano le leggi. Ma la politica si fa nel Paese, tutti i giorni.
Un pensatore che è tanto attento quanto è nemico giurato della sinistra, Massimo Cacciari, lo aveva presente quando dichiarava a "Repubblica" del 15 aprile: "In democrazia si parla in Parlamento. Ci troviamo di fronte a un problema reale. Penso a un antagonismo che si può esasperare. Penso a una grande storia come quella socialista che scompare. È pericoloso, perché non esiste che una storia politica così importante scompaia dalle scene parlamentari". Corretto. Perché i bisogni e le idee che scompaiono dal Parlamento riappaiono sempre altrove. Nelle lotte sociali, nella vita reale, fuori dai salottini parlamentari e dalla loro appendice televisiva. Evviva.
Tutto questo vale ovviamente anche per il mondo lgbt. Finalmente la foglia di fico dei parlamentari gay, lesbo e transgender è finita. Queste elezioni hanno sancito la liquidazione fisica della rappresentanza lgbt nelle istituzioni parlamentari. E questo sancisce anche la fine della subordinazione del movimento lgbt alle segreterie dei partiti, sotto la guida di leader che incarnavano molto più il desiderio di riuscire a posare il culo su uno scranno dimostrandosi "moderati" che di fare gli interessi della comunità lgbt.
Li ho battezzati "la castina". Di loro ne salvo diciamo tre, massimo quattro; tutti gli altri, e le altre, hanno dimostrato di scegliere sempre, quando c'è conflitto fra gli interessi del mondo lgbt e gli interessi del partito a cui fanno capo, in base agli interessi del partito. Gli appelli pro-Rutelli e pro-Ruini da parte loro ormai si sprecano.
Ma siccome le strategie si giudicano in base ai risultati, il fatto oggettivo che l'Italia sia il fanalino di coda dei diritti lgbt permette un giudizio secco e netto sul valore della loro strategia: zero.
La battaglia inizia quindi oggi, e senza più la zavorra della "castina". Chi crede in quel che fa, continuerà a lottare. Chi era qui solo per carriera, ora che la carriera è preclusa sarà costretto o a scendere finalmente in piazza, o a perdere definitivamente la faccia col mondo lgbt. Come peraltro durante la campagna elettorale ha già fatto un sacco di loro.
Ai miei amici (specie i più giovani) che mi esprimono il loro sconforto, non avendo mai vissuto (a differenza di me) l'esperienza del fare politica da "extraparlamentare", obbietto che la battaglia non è finita: semmai inizia ora.
Ci sono infatti diversi spunti da tenere presenti.
· Il primo è che la Chiesa ha perso. Ebbene sì. Grazie al trionfo suo ma soprattutto della Lega, Berlusconi ora non ha più bisogno di Casini per governare. E la Lega, contestando qualche giorno fa l'arcivescovo di Milano quando è intervenuto a favore di diritti umani dei Rom, ha dimostrato un piglio cesaropapista che ai clericali non promette nulla di buono (lo stesso arruolamento che Berlusconi ha fatto di Ruini elencandolo fra i propri supporters, che tanto è andato di traverso a Sua Eminenza, è un segnale dello stesso tipo). La Chiesa deve tenere d'occhio una realtà globalizzata, mentre la Lega è localismo puro: sarà interessante vedere quale di questi interessi conflittuali prevarrà. Certo, alla fine la Chiesa casca sempre in piedi... ma non sempre senza farsi male.
· Secondo, anche se Veltroni è accecato dall'ideologia e quindi non vede mai nulla, qualcuno dei suoi scagnozzi potrebbe notare che delle ultime quatto elezioni, la prima è stata corsa da centro e sinistra alleate, ed è stata vinta, la successiva è stata impostata da Rutelli contro la sinistra ed è stata persa, la terza è stata combattuta di nuovo assieme, e vinta, la quarta infine ha daccapo visto il centro contro la sinistra, ed è stata di nuovo persa (e bravo Walter! No, you cannot...). Sarà una coincidenza (sarà!), ma senza la sinistra, i "buonisti" non possono vincere. Non hanno fisicamente i voti per farlo: non si vince col 37,5%.
· Tanto più che, terzo punto, anche la mossa di eliminare i partiti di sinistra per risucchiarne il voto fa prevedere più guai che vantaggi. Infatti i partiti di sinistra hanno avuto la funzione di mediare fra le domande del popolo di sinistra (dal quale incidentalmente proviene la gran massa del mondo della militanza gay, et pour cause) e le esigenze di bassa cucina della realpolitik. Oggi che questi partiti sono annientati (anche come punizione per aver mediato fin troppo), il PD a questi elettori deve riuscire a parlare in prima persona, se vuole i loro voti (e se non li volesse, resterebbe inchiodato per sempre al 38%).
Ma come può farlo, con una pattuglia di cento teodem sconsideratamente arruolati in Parlamento tra le sue fila?
C'è una sola cosa "di sinistra", anche piccola, anche misera, che Veltroni possa dire zapaterianamente senza fare esplodere il suo raccogliticcio partito? La risposta è no.
E quanto può durare un partito nato autoparalizzato, e senza più neppure il comodo alibi dei partiti della cattivissima "sinistra radicale" a cui sbolognare tutte le colpe?
· Quarto ed ultimo punto. "La prova del budino è mangiarlo", dicono gli inglesi. Dopo dieci anni di pippe mentali sul partito nuovo, adesso lo abbiamo. E cosa abbiamo? "Il PD è la nuova DC", si è vantato Follini il 3 aprile scorso . Bene. Quanto ci vorrà prima che coloro che hanno "votato PD turandosi il naso", accogliendo l'appello al "voto utile", si convincano del fatto che è stato comunque un sacrificio inutile, e alla prima elezione scendano dal baraccone veltroniano?
Ricordiamolo, la politica non finisce mai. C'è sempre un'elezione in vista. Ci rivediamo quindi alla prima che arriva.
Insomma, a chi mi chiede cosa io pensi dei risultati delle elezioni, rispondo che è stata le migliore delle sconfitte che potessimo sperare. Una di quelle, nette e "senza se e senza ma", che mandano a casa la zavorra, e lasciano invece spazio a chi davvero crede nei diritti gay. Perfino quando non ti permettono di fare nessuna carriera politica...
Se qualcuno vuol darsi da fare, quindi, il momento è questo. Finalmente.
mercoledì 16 aprile 2008
Tesi condivisibli di Giovanni Dall'Orto? Finalmente abbiamo perso!
Etichette:considerazioni,omomosessualità,partitocrazia,votazioni
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento