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lunedì 3 marzo 2008

Il Pd esclude Lo Giudice, ex presidente dell'Arcigay, dalle candidature. L'ira dell'associazione.

Adesso la parola finale su chi verrà schierato spetta al leader Veltroni.
(Il Corriere della Sera, edizione di Bologna) L'ultima parola spetterà al leader nazionale del Pd, Walter Veltroni, ma la lista regionale dei candidati del Partito democratico al Parlamento è ormai pronta. I giochi sono stati chiusi l'altra notte dal segretario regionale del Pd, Salvatore Caronna che poi ieri è andato a Roma da Veltroni a consegnare le sue proposte. A Bologna, oltre alle conferme dei parlamentari uscenti Antonio La Forgia, Donata Lenzi e Walter Vitali, ce l'hanno fatta l'ex leader della Margherita di Bologna, Gianluca Benamati e la vicepresidente di Legacoop, Rita Ghedini (fondatrice del Cadiai) che si sono aggiudicati gli altri due posti in lista considerati sicuri per l'elezione. Le quotazioni di entrambi erano molto forti già dall'inizio della settimana, ma solo nella riunione dell'altra notte è arrivato il semaforo verde. Benamati ce l'ha fatta grazie al sostegno di De Maria e di Dario Franceschini, ma anche grazie alle segnalazioni dei circoli del Pd. Ghedini invece ha avuto il sostegno di Legacoop e ieri il presidente dell'associazione, Gianpiero Calzolari ha pubblicamente espresso soddisfazione per la scelta di candidarla.

In Parlamento ci sarà posto per candidature bolognesi anche nella cosiddetta quota nazionale: il presidente della Camera di Commercio, Gian Carlo Sangalli, il capo ufficio stampa di Romano Prodi a Palazzo Chigi Sandra Zampa avranno un posto sicuro. Dovrebbe essere candidato a Bologna anche il politologo Salvatore Vassallo. La novità principale è però l'esclusione dalla lista del presidente onorario di Arcigay, Sergio Lo Giudice, indicato invece nelle consultazioni fatte nei circoli del Partito democratico. «Mi hanno comunicato — ha spiegato lo stesso Lo Giudice — che a Bologna gli spazi sono chiusi. Toccherà ora a Veltroni decidere se vuole tenere aperto un canale di dialogo con la principale associazione omosessuale del paese, oppure no».

E ieri il presidente nazionale di Arcigay Aurelio Mancuso, nel corso della convention dell'associazione a Bologna, ha rincarato la dose polemizzando a distanza con il Pd per l'esclusione di Lo Giudice e invitando all'astensione nelle circoscrizioni dove non saranno presenti candidature espressione dell'universo Lgtb (lesbiche, gay, bisex e trans). «Ora — ha aggiunto Mancuso — ci aspettiamo un segnale da parte di Veltroni».

Si vedrà nelle prossime ore, ma al momento le possibilità di un ingresso in Parlamento del presidente onorario dell'Arcigay sono davvero minime.

Scorrendo la lista dei candidati del Pd in Emilia-Romagna (i posti considerati sicuri sono i primi venti alla Camera e i primi dodici al Senato) ci sono poi personalità come Marilena Fabbri (sindaco di Sasso Marconi) e come Teresa Marzocchi, presidente della comunità di accoglienza La Rupe e vicina ad Antonio La Forgia. Sono però inserite nella cosiddetta zona grigia (quella che garantisce l'elezione solo se il Pd vince le politiche) personalità come Marilena Fabbri (sindaco di Sasso Marconi). Più indietro in lista c'è anche l'ex capogruppo della Margherita Giovanni Mazzanti.

Non ce l'ha fatta invece Livia Zaccagnini, figlia dello storico leader democristiano, che nelle scorse settimane era stata accreditata come una delle possibili candidate.
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La «lobby omosessuale» fa quadrato: «La base aveva scelto. E la ignorano» .
(Francesco Rosano) Delusi. E arrabbiati. Perché per l'ennesima volta un loro rappresentate, un membro di quella che lo stesso presidente Arcigay Aurelio Mancuso definisce «una moderna lobby che vuol essere rappresentata da un giusto numero di candidati in posizioni elegibili», è stato tagliato fuori dai complessi giochi degli equilibri politici.

C'è voluto poco, ieri pomeriggio, perché le note di Nino Rota, tra le sale affrescate dell'hotel I Portici, cedessero il passo ai mugugni dei centoventi delegati nazionali, arrivati sotto le Due Torri per partecipare agli stati generali del movimento gay italiano.

Neanche ventiquattro ore prima, la riunione del direttivo regionale del Partito democratico si era chiusa con la scomparsa, dalla lista dei candidati alle politiche, di Sergio Lo Giudice: presidente onorario Arcigay, tra i nomi di spicco emersi dalle consultazioni popolari per la scelta dei candidati.

«Nell'Arcigay non funziona così, quando il nostro popolo indica un nome quello viene eletto — rinfaccia ai vertici regionali del Pd Mancuso — evidentemente, nel Pd, le cose vanno in modo diverso». Lo Giudice, seduto tra i delegati sulle sedie in plexiglass, non può che attendere con tutti gli altri «un segnale preciso da Veltroni verso l'Arcigay».

E in attesa di stabilire oggi, con un documento, le indicazioni di voto (la direzione è nessun voto a destra e voto assicurato a chi candida esponenti del movimento di sicura elezione), l'Arcigay affila le armi per il gay pride 2008, fissato per il 28 giugno a Bologna. «Arriveranno decine di migliaia di persone», scandisce il presidente del Cassero Emiliano Zaino. Che traccia un bilancio tragico dell'esperienza amministrativa targata Cofferati: «In nome delle sinistra al governo scegliemmo di chiedere poco — ricorda Zaino — per ottenere molto meno». Bologna ha perso il suo primato per il movimento, spiega ai delegati il presidente del Cassero, «i palazzi delle istituzioni sono distanti e distratti, si sono chiusi centri di cultura underground e censurate mostre. Questa città è da resettare».

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